Il deserto delle tartine, l’economia reale e la previdenza

Io auspico, tu auspichi, egli auspica, noi auspichiamo, voi auspichiate, essi auspicano. Che gli investitori istituzionali investano nell’economia reale. Ecco il divertissement della convegnistica moderna, il gioco retorico contemporaneo, l’appello di ultima istanza perchè – finalmente – si ponga rimedio alle storture del presente. Basta con paesi emergenti, dollaro, Bund, azioni, growth o value che siano. Certo non si può dire “Investite nel tricolore”, suona brutto e peggio che vintage, visto l’eco del ventennio del secolo scorso che evoca. Epperò, da una decina di anni questo è il refrain che i politici sciorinano agli eventi e che le cronache sintetizzano tutte simili il giorno dopo sui giornali; alla faccia dei lettori che leggono questi reportage con lo stesso trasporto con cui si assiste alla replica di un programma di Marzullo. Mentre i camerieri sgombrano i tavoli dai resti e le briciole delle tartine del buffet.

Cosa esso sia e come ciò possa avvenire questo investimento nell’economia reale, non è dato sapersi. C’eravamo quasi arrivato lo scorso anno, quando una cabina di regia informale aveva messo insieme le parti nella costituzione di un veicolo – un fondo dei fondi previdenziali – che potesse veicolare una porzione del patrimonio di Casse e fondi pensione, a disposizione di progetti infrastrutturali del Paese. Perchè il tema è tutto lì: la difficoltà di individuare il veicolo in grado di attrarre gli investimenti di istituzionali di lungo termine, con obiettivi strategici condivisi. L’incapacità italiota di fare squadra e la predilezione di operare per bande, ha fatto tramontare il progetto. Dicono che stanziare un credito di imposta di 80 milioni di euro all’anno basterà. Scommettiamo?