L’occasione perduta de “Un giorno per il futuro”

Due giorni fa il Corriere della Sera e Repubblica titolavano in prima pagina:"Un pensionato su due vive con 500 euro al mese". Si tratta di una notizia esatta e triste ma nota da tempo. Dal punto di vista giornalistico, se quello è un criterio di selezione delle notizie, il giorno dopo avremmo potuto aspettarci, sempre in prima pagina e con lo stesso spazio su entrambe le testate, il seguente titolo: "Il Monte Bianco è alto 4.807,45 metri". Il fatto che quella scelta di titolazione sia coincisa con la prima edizione della "Giornata annuale per la diffusione della cultura previdenziale tra i giovani" è solo un incidente in più, che nulla toglia all'enormità di quei titoli. Non è una giustificazione sostenere che, siccome due giorni prima dal Rapporto annuale dell'Istat s'era scelto di enfatizzare l'indice di rischio povertà, due giorni dopo faceva comodo una conferma amministrativa del bassissimo reddito in cui sono costratti a vivere molti italiani. Ma tant'è. Volendo insistere sul tema si potrebbe trovare sorprendente che c'è la diseguale distribuzione di reddito tra i pensionati è maggiore di quella registrata tra la generalità delle famiglie (l'indice di concentrazione di Gini è 0,36 tra i pensionati maschi del settore privato, mentre quello delle famiglie è 0,348) o "scoprire" che gli assegni delle donne sono molto inferiori rispetto a quelle degli uomini e via elencando.

Ovviamente le notizie erano altre: la crescita dei pensionamenti di anzianità per evitare la nuova finestra unica e il terzo scalino introdotto con la riforma del 2007 (quota 96 per i dipendenti e 97 per gli autonomi), la crescita della spesa per ammortizzatori sociali e il conseguente crollo dell'avanzo di competenza dell'Inps. Volendo, visto l'occasione della Giornata, ci si poteva concentrare sul tema che era stato scelto dai ministri organizzatori: "Un giorno per il futuro". E quindi ci si poteva avventurare sul valore futuro delle pensioni cui possono aspirare i giovani lavoratori. Anche qui, senza scomodare concetti un po' ingombranti come i tassi di sostituzione o i coefficienti di trasformazione, le decorrenze mobili e l'aspettativa di vita, ci si poteva fermare alla dinamica del Pil. Da essa dipende la rivalutazione del montante contributivo versato durante tutta la carriera lavorativa e, da essa, dipende il valore reale della pensione che verrà. Mettiamoci nei panni di un lavoratore il cui primo giorno d'impiego è stato il 1° gennaio 1996, quando cioè è entrato in vigore il sistema di calcolo contributivo puro previsto dalla riforma n.335/1995. Qual è stata la crescita media del Pil registrata in questi primi quindici anni di lavoro? Ecco, lì sta l'altra notizia: i primi 15 anni della riforma Dini (adottata presumendo che l'economia italiana sarebbe cresciuta con un tasso medio un po' superiore all'1,5% in ogni quinquennio) hanno regalato una rivalutazione dei montanti contributivi assai esigua. Se anche i prossimi 20-25 anni andranno più nella direzione della stagnazione economica piuttosto che della crescita chissà con che potere d'acquisto si ritroverà quello sfortunato pensionato. Purtroppo né lui né tantissimi altri lo sapranno per tempo, visto che il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha deciso che l'informazione che l'Inps (e gli altri istituti) dovrà garantire si ferma al cosiddetto "conto corrente previdenziale", senza alcuna simulazione sull'assegno pensionistico futuro. Come dire: potrete guardare solo il vostro saldo contributivo, che è un po' come guradare il Monte Bianco, sapendo che la probabilità di cadere nel 50% dei pensionati poveri crescerà anno dopo anno, se l'economia non ritorna a correre come negli anni Sessanta.

di Davide Colombo

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