Fondi pensione 2010: adesioni al palo, stretta della vigilanza

Rendimenti in recupero, adesioni stagnanti e più rigorosi criteri di vigilanza sui fondi pensione italiani. Antonio Finocchiaro, Presidente della Covip (Commissione vigilanza sui fondi pensione) nella sua relazione per l’anno 2010 ha sottolineato come in passato l’alto livello di trasparenza e prudenza degli strumenti di previdenza complementare. Ma in questa occasione si è concentrato su alcune criticità dei fondi pensione, lanciando un modello di vigilanza che fa leva su criteri ancora più rigorosi. Finocchiaro, nell’intervento che ieri mattina ha inaugurato gli appuntamenti di «Un giorno per il futuro», ha messo al centro dell’attenzione la governance dei fondi pensione, che mostrano da una parte carenze organizzative e una ripartizione dei ruoli talvolta poco chiara; e dall’altra una politica di investimento non sempre ben documentata su obiettivi e rischi. Fattori che hanno spinto Covip a definire un nuovo modello di vigilanza fondato su un doppio sistema: valutazioni richieste ai fondi "ex ante" e misurazioni "ex post" su una serie di indicatori riguardanti in particolare l’attività di investimento; e l’affinamento del sistema di controlli di vigilanza basati sull’approccio risk-based, che ha consentito alla Covip di intensificare e rendere più mirata l’attività ispettiva e incrementare il ricorso alle sanzioni amministrative.

Finocchiaro nella sua relazione ha insistito su alcune «aree di inefficienza» della gestione finanziaria: una duration media dei titoli di debito di 3,5 anni, troppo contenuta secondo la Covip, se paragonata con gli obiettivi di lungo termine della gestione; e inoltre un indice di rotazione del capitale pari al 122,2% per i negoziali e 105,7% per gli aperti, giudicato da Covip «elevato in rapporto alla natura di lungo periodo degli investimenti». Fattori che sostengono i costi, la cui riduzione è considerata da Covip un obiettivo «imperativo».

Una strigliata della Covip, anticipata nelle scorse settimane in occasione di alcuni convegni (si veda «Plus24» del 7 maggio 2011) e che ha già innescato un dibattito, al termine della relazione tra i rappresentanti dei fondi e delle società di gestione. Nonostante l’intervento deciso della Covip al capitolo gestioni, i risultati 2010 risultano tutt’altro che disprezzabili: i rendimenti medi (+2,6%) hanno battuto la rivalutazione del Tfr, recuperando sostanzialmente le perdite subite nel 2008. Sui criteri di investimento Covip ha avviato con il ministero dell’Economia la riforma del decreto 703 che li determina. Le risorse patrimoniali continuano a incrementarsi al tasso del 13% annuo, fino a 83 miliardi di euro.

Meno soddisfacente il tema adesioni: «Una parte considerevole dei lavoratori oggi occupati – ha detto Finocchiaro – avrà tassi di sostituzione della pensione obbligatoria inferiori al 60% dell’ultimo stipendio. L’esigenza di una pensione integrativa è pertanto evidente». Complice la crisi economica, le adesioni crescono solo del 4,3%, grazie quasi esclusivamente alle nuove sottoscrizioni di Pip (+29,8%) a fronte di un calo dei negoziali (-1,4%). Gli aderenti sono 5,3 milioni, ossia il 23% dei lavoratori dipendenti privati. Da segnalare che la crisi ha determinato un aumento delle sospensioni dei versamenti contributivi: salite da 840mila a un milione di casi a fine 2010; 170mila di queste posizioni riguardano titolari di posizioni nulle. Nella sua relazione il presidente Finocchiaro rileva l’esigenza di «interventi diretti per agevolare le pensioni complementari, per evitare costi futuri sulla collettività. Il bilancio pubblico ne trarrebbe vantaggio». Per Covip una leva è la riforma della fiscalità sui fondi pensione, con il passaggio della tassazione dal maturato al realizzato, come accaduto per i fondi comuni, oggetto di una recente revisione: «Un’occasione perduta», ha commentato Finocchiaro, che sperava in un’estensione della riforma alla previdenza complementare. Un’ipotesi che ha ottenuto una reazione poco calorosa dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi, secondo il quale le possibili razionalizzazioni devono essere «senza ulteriori oneri per lo Stato».

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