Due o tre cose che so sui rendimenti dei fondi pensione nel 2010

Altro che crack o boom: l’anno in corso si sta rivelando un test più attendibile di quelli precedenti per verificare l’efficienza finanziaria dei fondi pensione. Considerando inoltre il ruolo che le forme previdenziali possono avere in momenti di crisi economica, in termini di anticipazioni ai lavoratori che ne presentano richiesta. Dopo un 2008 contrassegnato da performance negative (flessioni medie pari a -6,3% per i negoziali, -12% per gli aperti, -24,9% per i Pip collegati a unit linked) e un 2009 in deciso recupero (rispettivamente rialzi medi pari a +8,5%, +11,3% e +16,3%), le incertezze degli ultimi mesi hanno messo alla prova le strutture che si occupano di costruire una pensione di scorta. Certo, è sempre il caso di ricordare che non è nel breve periodo che si può valutare la performance di strumenti operativi nell’arco di decenni; è tuttavia rilevante mettere a confronto alcuni dati medi e quelli delle singoli linee di investimento.

Nei primi nove mesi del 2010 il rendimento medio dei fondi pensione negoziali si è attestato a un +2,29%, mentre la media dei fondi pensione aperti è stata del 2,2% (il dato trimestrale relativo ai Pip non è disponibile); si è invece rivalutato dell’1,84% il trattamento di fine rapporto, che si calcola sommando l’1,5% al 75% dell’inflazione. Un bilancio tutto sommato positivo, grazie in particolare al rally dei titoli di Stato (italiani e tedeschi in particolari), presenti in dosi massicce nel fondi pensione italiani, che hanno compensato egregiamente l’andamento negativo degli indici azionari.

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Numeri che tranquillizzano chi avesse avuto il timore di aver compiuto la scelta sbagliata, destinando il proprio Tfr a uno strumento di previdenza complementare. Meno positivo il bilancio a cinque anni: dal 2005 a oggi i negoziali hanno guadagnato mediamente il 2,33% l’anno, gli aperti lo 0,86% mentre il Tfr si è rivalutato del 2,52%. Differenze limitate. In ogni caso è bene ricordare che oltre al confronto time weighted è più importante il confronto money weighted, che tiene cioè conto dei «soldi veri» e che considera anche il contributo volontario e del datore di lavoro (in caso di adesione collettiva alle forme negoziali e aperte), che varia di contratto in contratto e che si attesta vicino all’1,5% della retribuzione; denaro, peraltro, interamente deducibile fiscalmente dal proprio imponibile.

Un valore aggiunto che fa pendere il piatto della bilancia della convenienza a favore dei fondi pensione e sfavore del Tfr. Tornando ai rendimenti di periodo, è da sottolineare che comparti dall’analoga natura – bilanciati o dinamici – compaiono sia in testa che in coda alla classifica (vedi tabella): il che significa che a fare la differenza sono le scelte di asset allocation strategica operate dai vertici dei fondi e quelle tattiche in mano ai gestori cui i fondi affidano mandati specifici. Da segnalare, inoltre, che il 44% circa dei comparti riesce a battere il proprio benchmark di riferimento: una quota ben superiore al 25% degli anni precedenti e del 13% circa dei fondi comuni di investimenti che battono il proprio indice di riferimento.

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