Criteri di investimento etici: i gestori ne sono convinti, i fondi meno

Una realtà o un’opzione ancora per pochi fondi pensione; ma una chance già attuale per gestori e consulenti. Il mercato italiano della previdenza complementare guarda ancora con una certa timidezza alle scelte di investimento socialmente responsabili; o in inglese «environment-social-governance», ossia ambiente-società-governo societario. Ma nonostante la ancora scarsa propensione ad adottare questi criteri, l’orientamento socialmente responsabile degli investimenti si avvia ad uscire dalla fase pioneristica per diventare gradualmente una realtà. È questo il quadro che emerge dall’indagine realizzata da Mefop, la società che si occupa dello sviluppo dei fondi pensione, e che verrà presentato giovedì in un seminario tecnico in programma a Roma, in collaborazione con il Forum per la Finanza Sostenibile. L’indagine è stata realizzata tra i mesi di marzo e aprile scorsi, con l’invio dei questionari a fondi pensione negoziali, preesistenti, aperti, a gestori e a consulenti (tassi di redemption del 67%, ad eccezione dei gestori, che hanno risposto in sedici). Se i fondi sono ancora complessivamente freddi sulla materia (si dice pronto il 26% dei negoziali, il 15% dei preesistenti e il 18 degli aperti), maggiore convinzione si registra tra chi è chiamato a indicare i trend di mercato, ossia i gestori (62,5%) e i consulenti (66,67%). E proprio i gestori sono i più convinti delle opportunità di extra rendimento (90%) soprattutto in questa fase di crisi finanziaria. Sul come (vedi grafico) pare evidente la convinzione che gli investimenti socialmente responsabili debbano essere affrontati con prodotti specifici e preconfezionati, piuttosto che su scelte dirette dei fondi, come invece avviene da tempo all’estero. Le difficoltà di investire in titoli secondo criteri di inclusione o esclusione che seguono i parametri socialmente responsabili sono legate soprattutto a questioni economiche e/o organizzative. Una preoccupazione condivisa (44% dei negoziali, 35% dei preesistenti, 50% tra gli aperti, 31% gestori e 44% consulenti), derivante soprattutto dalla modalità e delle finalità con cui vengono affidati i mandati secondo il modello del decreto 703/96 (in via di difficile ridiscussione). Incidono anche i costi connessi alle scelte «etiche» in senso lato: superiori a quelli bassi dei fondi pensione italiani, preoccupati in questa fase di non apparire esosi. Eppure è generalizzata la consapevolezza che il prossimo futuro porterà ad un sempre maggiore utilizzo dei criteri di investimento di rispetto dell’ambiente, del contesto sociale e di «interventismo» degli share-holder nei contesti deputati. A crederci in particolare i gestori (75%), ma anche i fondi negoziali e i consulenti (67%); meno "caldi" aperti (39%) e preesistenti (35%).