Non sono le turbolenze sui listini azionari e obbligazionari a deprimere le rendite future degli aderenti alla previdenza complementare. I maggiori indiziati di quella che a qualcuno appare come una “bassa convenienza” sono due: l’ancora acerbo mercato delle rendite e i costi troppo alti per fondi aperti e Pip.
Andiamo con ordine.
La consegna agli iscritti ai fondi pensione dei progetti esemplificativi, che stimano l’ammontare della loro rendita in base alla contribuzione in essere, ha finalmente sollevato il velo sull’obiettivo finale della previdenza comlpementare
– la rendita, appunto – e sulle sue modalità di calcolo (vedi anche Il prospetto esemplificativo ). Uno strumento estremamente utile, già operativo in numerosi paesi estesi, che consente di focalizzare la correlazione tra i contributi e le rendite future.
Molti oggi lamentano l’esiguità delle pensioni di scorta, che la cosiddetta “bussola previdenziale” calcola. Depurata la lamentela dalla componente fisiologica (“Pochi settantenni possono dichiararsi soddisfatti della propria pensione”, mi diceva tempo fa il presidente del fondo Atp, l'Inps della Danimarca), l’insoddisfazione ha la sua radice nella determinazione della rendita: che secondo quanto emerge dall'informativa giunta a casa degli aderenti, non è troppo lontana dalla divisione del montante accumulato per il numero di anni di vita residua attesa al momento del pensionamento.
Colpa di chi?
Delle borse preda degli speculatori, i quali hanno nel mirino anche i fondi pensione? No. L'effetto costi incide in modo determinante: l’1% di differenza dell’indice sintetico di costo tra due fondi pensione, determina differenze di rendimento di circa il 18% in 35 anni. Il che vuol dire che a parità di condizioni, chi ha aderito a un fondo di categoria incasserà 10mila euro l’anno di pensione di scorta, l’aderente a un fondo aperto circa 8mila, mentre chi ha scelto un Pip otterrà poco più di 6mila. Effetti della concorrenza in materia di strumenti.
Concorrenza che invece manca del tutto nel settore delle rendite. Il monopolio del sistema previdenziale pubblico ha tarpato le ali italiane alla possibilità di scegliere rendite in concorrenza tra loro: basti pensare che oggi solo lo 0,5% di chi sottoscrive una polizza alla fine preferisce una rendita al capitale.
Massa Critica
Recentemente Assofondipensione ha stipulato con alcune compagnie un accordo per la rendita di scorta degli aderenti ai suoi associati, ossia una trentina di negoziali per circa 1,8 milioni di lavoratori. Massa critica che ha permesso di ottenere condizioni migliori rispetto alle rendite offerte dalle compagnie private. Relativamente migliori: per 100mila euro di montate l’iscritto a un negoziale otterrà 6500 euro l’anno, mentre chi ha scelto una polizza porta a casa circa 6200 euro l’anno. Attori assicurativi in concorrenza tra loro potrebbero proporre rendite dal tasso tecnico più elevato, grazie ad una più efficiente gestione degli attivi a copertura delle rendite stesse; e masse critiche tali da innalzare la redditività delle pensioni di scorta. Sempre in assenza di indebiti innalzamenti messi sul conto delle generazioni future.
Per finire
La pensione inevitabilmente ingaggia una sfida con l’evento ultimo, ossia il decesso. Perchè scegliere la previdenza complementare invece del cash, se ci vogliono 30 anni dalla pensione per recuperare in forma di rendita il montante accumulato, quando l'aspettativa di vita è 20? La sfida, d'altronde, è appena accettabile (a fatica) per la pensione pubblica, meno per quella complementare. Che non è obbligatoria ma volontaria. E se una cosa non è obbligatoria, è sottinteso che sia non indispensabile; come invece i numeri dicono: un 30enne che andrà in pensione con meno del 40% dell’ultimo stipendio (ragioniere, 5 anni di anzianità, residente a Milano, con aspettative medie di carriera, ossia inflazione +2%) non può nemmeno lontanamente sperare di confrontare le sue aspettative con il suo genitore che va in pensione con l’80%.
Per questo è inevitabile migliorare l'offerta delle rendite e indicare con chiarezza i rischi connessi alla sottoscrizione di strumenti onerosi, se si vuole evitare di metter in campo l'opzione ultima: rendere la previdenza complementare obbligatoria.
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