Solo 77 aderenti ai fondi pensione di nuova generazione (negoziali, aperti e Pip) hanno iniziato a incassare nel 2010 una rendita complementare, al momento del pensionamento. La stragrande maggioranza ha preferito ricevere tutto cash, facendo leva su anticipazioni e sulle norme che permettono di dribblare l’obbligo di ricevere la rendita. In futuro, tuttavia, l’aumentare dei montanti ridurrà il numero di chi usa i fondi pensione come i fondi comuni. Nel frattempo però il mercato non potrà crescere e offrire prestazioni adeguate: se i numeri delle rendite si mantengono bassi le compagnie non possono a mettere in campo masse critiche tali da abbassare i costi e innalzare le rendite. Per discutere di come far decollare il mercato delle rendite in Italia e migliorare le prestazioni, è stato organizzato un incontro presso l’Università Bocconi, a Milano, in cui è stata presentata una ricerca svolta da Carefin sul sistema di rendite della previdenza complementare.
«Un mercato che si migliora aumentato la domanda – dice Sergio Paci, responsabile dell’Insurance and pension di Carefin Bocconi –, attraverso una riduzione della discrezionalità con cui si può incassare tutto cash: serve innalzare la percentuale obbligatoria del montante finale da convertire in rendita, dal 50 all’80%, ad esempio, o eliminare la possibiltà di incassare il 30% per anticipazioni non motivate». Per gli esperti intervenuti si tratta di rendere più efficiente il mercato aumentando la concorrenza, stimolando così forme innovative già sperimentate all’estero: aumentare le prestazioni è possibile, per esempio, se venisse ripartito tra compagnia assicurativa e pensionato il rischio longevità. Come? Valutando periodicamente l’evoluzione di questo rischio e abbattere così i caricamenti. Ma attenzione, il rischio longevità è rilevante: se si calcola lo scenario migliore per gli individui di tabelle di mortalità, la spesa pensionistica italiana potrebbe salire dal 12 al 22% sul Pil nel 2050.
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