Il “come si fa” delle pensioni di scorta

Si fa presto a dire pensione di scorta. Ma come si fa? Non solo e non tanto dal punto di vista burocratico: come si sceglie il fondo giusto? È meglio una polizza o un negoziale? Quanto versare? A che linea aderire? Cosa si rischia? Si fa presto a dire "fa la cosa giusta": una volta deciso, ti assale una valanga di domande su come proteggere la propria pensione. E allora, come si fa?
Diciamo subito che i canali per arrivare alla scelta giusta – o per approssimazione la meno sbagliata – sono sostanzialmente due: aderire a uno strumento che automaticamente ci accompagna durante il nostro percorso lavorativo fino alla pensione oppure farsi consigliare da un esperto, un professionista che ci accompagni passo passo nella scelta (e da disturbare alla bisogna). In tutto il mondo automatismi e consulenza sono le soluzioni previdenziali più idonee per costruire rendite adeguate alle esigenze dei pensionati di domani.
Il consulente previdenziale è colui che ci guida a compiere nel modo migliore le quattro mosse indicate nel libro "Guida alla pensione integrativa", distribuito poche settimane fa con il Sole 24 Ore: raccogliere tutti i propri contributi (riscattando magari anni di laurea o militare), calcolare una stima del proprio tasso di sostituzione (rapporto tra primo assegno pensionistico e ultimo stipendio), calcolare il proprio fabbisogno in termini di rendita integrativa versando i propri contributi a un fondo pensione; e parallelamente fare quel minimo di "manutenzione previdenziale" che permette di utilizzare le agevolazioni fiscali, le anticipazioni previste (prima casa, salute, motivi ulteriori). Il momento cruciale è la sottoscrizione, ma è assai importante anche l’assistenza post vendita.
Diciamo subito che il confine tra consulenza e vendita di un prodotto è labile, soprattutto per i piani individuali pensionistici (Pip): più costosi per il cliente (cinque volte quelli dei negoziali) e più remunerativi per chi li vende. A tutela dell’adeguatezza delle proposte le norme mettono alcuni paletti: obbligando per esempio i professionisti a prove abilitanti e aggiornamenti professionali (Regolamento Isvap 5/2006 art. 35-40). Basta? No, ovviamente: sono condizioni necessarie, ma non sufficienti. Nel corso dell’anno, per esempio, i 400 consulenti di Cattolica Previdenza inizieranno a ottenere la certificazione Uni Iso 2222. Un altro paletto normativo prevede che chi propone una forma individuale (Pip o fondo pensione aperto), deve dire al cliente che, se lavoratore dipendente, perderebbe il beneficio del contributo del suo datore di lavoro (a fronte di contributo volontario): un passaggio burocratico superabile per professionisti della relazione interpersonale come gli agenti assicurativi.
Anche i fondi pensione aperti sono collocati da consulenti professionali come promotori finanziari o sportellisti bancari. Spesso questi strumenti sono sottoscritti tramite adesioni collettive in azienda: un consulente si reca periodicamente in sede per seguire le posizioni degli iscritti. «Il nostro servizio è a 360° – dice Nadia Vavassori, responsabile Business Unit SecondaPensione Amundi Sgr –: supporto, in termini di consulenza, informazione e formazione ai lavoratori e supporto tecnologico alle aziende al fine di garantire una maggiore flessibilità del nostro fondo pensione aperto, rispetto ad altre forme di previdenza, accompagnando l’aderente anche in tutto il percorso lavorativo». Lo spazio di mercato degli aperti resta un po’ schiacciato tra polizze previdenziali di cui sopra e i fondi pensione negoziali o di categoria. Si tratta di strutture non commerciali, caratterizzati da costi mediamente bassi (un terzo degli aperti). Proprio nella consulenza il loro lato debole: la loro associazione (Assofondipensione) studia ipotesi di convenzione con reti territoriali come i patronati. Ma c’è chi fa da solo: Previmoda (tessile, abbigliamento) ha formato nel 2011 una rete cui gli aderenti e potenziali tali possono rivolgersi: 145 soggetti, delegati di assemblea e Rsu territoriali, cui si aggiungeranno nel 2012 gli addetti degli uffici del personale e i consulenti paghe. Analogamente Fon.Te (commercio, turismo) fa sapere di aver formato l’anno scorso 201 addetti tra rappresentanti dei lavoratori e delle imprese. Poco? Un buon inizio.
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