Cose da sapere sulle pensioni degli italiani / 2: il rischio

Rischiare o non rischiare. Questo è il problema. E’ preferibile mettersi al riparo dagli strali degli avvenimenti possibili, dormendo sonni tranquilli; purchè non svegliati dal dubbio di aver esagerato nella corsa alla protezione, pagando un fio (o fee, cioè commissioni), più salato della probabilità che gli eventi sfavorevoli accadano? Oppure affrontare gli eventi cercando di gestire il rischio insito nei mercati finanziari utilizzando strumenti che cerchino di limitare gli effetti degli strali dell’alterna fortuna?

Rischiare. Gestire. Guadagnare, magari. Parafrasi a parte, siamo davvero sicuri che non ci sia una via di mezzo tra l’avidità di chi vuole guadagnare molto in poco tempo e la paura di chi cerca di rifugiare i propri denari lontano possibilità che questi possano esser e intaccati da eventi? La letteratura registra continuamente casi di perdita di valore reale degli asset a causa dell’inflazione: il denaro riparato sotto il materasso mantiene il suo valore facciale ma col tempo non quello reale. Al di là delle gag di Totò e Peppino  

questa è la sfida che ciascun risparmiatore affronta giorno per giorno: che ne sia consapevole o no.

Se tutto ciò si applica alla gestione delle risorse per costruirsi una pensione decorosa, la questione diventa talvolta viscerale: “Giocheresti la tua pensione in Borsa?” domandavano alcuni reporter a lavoratori in sciopero, in occasione della decisione di dove destinare il loro Tfr. Una domanda molto più che suggestiva: la domanda suggeriva evidentemente risposte quasi tutte negative. Fosse stato proposto un modo per tenere sotto controllo il rischio insito nella Borsa, il numero delle risposte positive sarebbe stato decisamente superiore.

D’altronde il rischio fa parte della nostra vita quotidiana: si pretende di non tenerlo lontano dal nostro denaro ma magari fumiamo un pacchetto di sigarette al giorno e in autostrada schiacciamo l’acceleratore fino a segnare 180 chilometri l’ora, finchè il saltellitare non ci segnala un autovelox.

I rischi non sono tutti uguali ma diversi tra di loro, si dirà. Bene. Il che significa che il giovane 30enne rischia in modo diverso dal 55enne: per ciascuno di loro è indicato un grado di “rischio di portafoglio” differente; un differente livello di probabilità di varianza di risultati, per estensione e per frequenza. Per questo per il più giovane viene indicato dalle best practices internazionali come più adeguata una maggiore dose di rischio nel portafoglio, in modo da avere molto tempo a disposizione per compensarne gli eventuali effetti negativi, prima del pensionamento; contrariamente, chi è prossimo alla pensione dovrebbe puntare a consolidare i risultati ottenuti in passato, riducendo il rischio. Questo è il modo standard per gestire il rischio.

Il problema è però sapere quando passare da un comparto all’altro; chi non ha conoscenze solide in materia rischia di sbagliare. Per questo molti fondi hanno messo in campo strumenti come il lifecycle che prevedono l’adeguamento automatico o semi automatico del grado di rischio in portafoglio in base al profilo anagrafico e previdenziale del lavoratore. Molti fondi statunitensi hanno fatto del lifecycle lo strumento di default, dedicato automaticamente a chi non compie alcuna decisione in merito al comparto di riferimento. Un modo analogo è il cosiddetto target date: consiste in una combinazione di fondi diversi, ciascuno con un obiettivo di tempo differente, che consentono anch’essi di adeguare periodicamente il rischio; gli asset sono suddivisi in “scomparti” differenti, cosa che permette di incassare anticipazioni di cassa senza smontare posizioni in essere.

Gestire il rischio per l’utente finale è un valore aggiunto. È pane quotidiano invece per il professionista o per il soggetto istituzionale: un fondo pensione tiene d’occhio giorno per giorno i risultati delle gestioni delle società cui assegna i mandati, confrontandoli con gli obiettivi di riferimento. Lo affiancano di frequente società di consulenza che svolgono appossitamente il lavoro di risk management, ossia gestione del rischio. Il che significa, per esempio, compiere degli “stress test” per verificare cosa accadrebbe al portafoglio investito al verificarsi di una serie di variabili. Per esempio se lo spread sale o scende, come identificato di recente in un’elaborazione su Plus24 da European Investment Consulting.

Un’altra modalità sono le informazioni registrate dalla banca depositaria, ossia la cassaforte che custodisce il denaro degli iscritti al fondo pensione. Strumenti che, come il Data Navigator Analysis di Bnp Paribas, rappresentano una sorta di “cruscotto” del rischio che il fondo pensione può utilizzare per monitorare rischio e rendimento del portafoglio investito. Anche la Commissione di vigilanza sui fondi pensione osserva con attenzione l’andamento delle gestioni, confrontandoli con i benchmark indicati: e verifica le ragioni dei discostamenti anomali. La gestione del rischio non è all’anno zero: spetta agli operatori dare risposte puntuali agli interrogativi degli aderenti e degli potenziali aderenti.

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