Non c'è tema più importante, discusso e sfuggente del rischio: oggetto di attenzione costante da parte di analisti, consulenti e risparmiatori, il tema è da qualche tempo oggetto di analisi anche da parte di esperti di finanza comportamentale, psicologi ed etologi. Tutti a caccia del segreto legame che ci unisce e ci allontana con le variabili economiche e finanziarie. Il primo gruppo di osservatori studia da decenni il comportamento umano davanti al denaro; studi che com'è noto sono valsi al Daniel Kahneman il premio Nobel per l'Economia. Tra le più significative indagini recenti c'è quella sulla differenza tra bias risk e unbias risk, realizzate da Alemanni, Brighetti e Lucarelli («Le decisioni di investimento, assicurative e previdenziali. Tra finanza e psicologia», Il Mulino 2012); i tre studiosi verificano come nei tre contesti l'approccio al rischio sia differente in maniera sostanziale, considerato il tema la variabile per il raggiungimento di un obiettivo. E la conseguente tolleranza al rischio risulta inevitabilmente differente.
Anche le analisi non economico/finanziarie sulla materia offrono però spunti rilevanti in materia di denaro e risparmio: alcuni etologi hanno condotto esperimenti sulla «tolleranza al rischio» di mosche affamate di avvicinarsi ai fiori, anche in presenza di sostanze per loro repellenti. La fame – com'è intuibile – induce il soggetto a prendersi rischi superiori per soddisfare la propria sopravvivenza. Salvare il proprio presente e costruire il futuro. Ciò riconduce il concetto di rischio in un ambito di normalità, per le mosche come per gli umani. Con interessanti digressioni sul lifecycle (adattamento del grado di rischio all'età o alla situazione economica) e anche sull'«inappetenza» di futuro per società dall'età media alta, come quelle europee. Tesi confermate da John Tulloch e Deborah Lupton, studiosi dell'australiana Charles Strut University, che mettono in guardia dalla sindrome della risk aversion. Prendersi dei rischi rappresenta una occasione fondamentale di crescita della specie umana e negarlo mette letteralmente a rischio la capacità evolutiva della specie umana.