In molte occasioni su questo spazio mi sono occupato della più complessa e difficile delle decisioni in materia di allocazione di risparmio: quella che riguarda la propria pensione. Accantoniamo per semplicità il tema primo pilastro, obbligatorio in Italia, rappresentano un punto di domanda enorme le possibili scelte di integrazione per incassare una rendita adeguata alle necessità future o quantomeno simile a quella che incassano i pensionati oggi.
E’ difficile perchè non è semplice avere “visibilità” sulle esigenze che avremo da qui a 30/40 anni. La più ampia libertà di scelta, poi, complica il tutto perchè scarica sul cittadini l’onere di compiere il processo di selezione dell’opzione più efficiente. Detto in parole povere diventa complicatissimo riuscire a fare la scelta giusta, per evitare di trovarsi in miseria da qui a qualche decennio. Non acaso, d’altronde, la previdenza di primo pilastro è obbligatoria: quanta gente, in caso contrario, si giocherebbe i contributi previdenziali alle slot machine (il gioco legale attira 88 miliardi di euro l’anno, il doppio della capacità di risparmio degli italiani) o per lo meno in allocazioni poco efficienti, costosi e vulnerabili alle oscillazioni del mercato (per non parlare delle truffe).
Dunque come prendere la decisione giusta?
Per risolvere un problema, insegnano, è utile scomporlo in più parti. Nel caso dell’adesione alla previdenza complementare c’è il tema “se” e il tema “come”. Entrambi saranno oggetto di molti approfondimenti, nei prossimi mesi, in occasione del decennale dell’entrata in vigore della riforma del Tfr: una scelta efficiente in termini di rendimenti (le gestioni previdenziali hanno reso in questo periodo in media il 48% circa contro il 28% della liquidazione) e di costi (confrontati con altri strumenti di risparmio di lungo termine). Ciononostante, com’è noto, pochi hanno aderito: innescare la miccia di una scelta previdenziale pare superiore alla capacità dei singoli lavoratori.
Non di tutti però. Si prenda il caso britannico. In pochi anni un popolo poco aduso al risparmio e al dirigismo pubblico ha visto moltiplicare il numero di previdenti. La differenza l’ha fatta lo schema pubblico Nest, che ha messo in campa una campagna efficace e semplificato l’operatività delle imprese i cui dipendenti vengono iscritti d’ufficio alla previdenza complementare. Il confronto dei numeri dell’ultimo anno mostra che una campagna di adesione pubblica può ottenere un buon risultato: si è passati da un milione a 3,3 milioni di iscritti, da 70mila aziende coinvolte a 135mila; solo il 7% ha deciso l’opt out, ossia ha deciso di non aderire ai fondi pensione (il corrispettivo del nostro silenzio/assenso).
Può suonare stonato, paternalistico oppure solo orecchiare il “nudge” di Thaler e Sunstein, ma un certo dirigismo è in grado di ridurre i rischi e incanalare scelte efficienti, che i singoli aderenti possono perfezionare con un margine di autonomia ridotto. Un certo grado di delega, d’altronde, è comunque inevitabile.
E infatti se il “se” è di fatto risolvibile – possibilmente con un’operazione di sistema migliore e più efficace di quella di dieci anni fa -, restano molti punti di domanda sul “come”: il patrimonio è salito da 400 milioni di sterline a 970 milioni. Il che fa 303 sterline a testa: un po’ poco per il futuro. La sfida quindi sarà spiegare, agli inglesi e agli italiani, come si costruisce una pensione adeguata, grazie a una consulenza appropriata. Ma questa è un’altra storia, dscrivere in un altro post.
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