Fondi pensione, la misura del ritardo italiano

Preciso che non è un dietro front rispetto a quanto scritto tempo fa su questo blog in merito all’osservazione delle performance finanziarie dei fondi pensione, in cui derubricavo questo aspetto ad elemento di secondaria importanza. Lo confermo: prioritaria è l’efficienza del fondo in termini amministrativi, la trasparenza delle practices, i bassi costi e la governance efficiente. Lo testimonia chi all’interno dei fondi pensione (dipendenti o call center) si occupano della relazione con gli aderenti: raramente, diciamo così, qualcuno chiama per contestare il discostamento di una performance dal benchmark.
Ciò detto, dalla capacità di produrre rendimenti finanziari dipende il benessere futuro dei pensionati di domani. La differenza tra una rendita di secondo pilastro di 5 o sei mila euro risiede in questa orbita: fatta della capacità dell’aderente – magari insieme a un consulente – di scegliere il comparto giusto e di variarlo al momento opportuno, della capacità del gestore di cogliere le opportunità del mercato, della capacità del team di condividere con il fondo pensione che gli affida il mandato una strategia oculata, della normativa di mettere a profitto i contributi dei lavoratori.
La riforma del decreto 703/96, fanno sapere dal Tesoro, arriverà solo quando la situazione del Bilancio pubblico sarà meno tesa (bittate lì una data). Un recente studio dell’Ocse sui fondi pensione ci fornisce la misura dell’effetto di questo colpevole ritardo: da inizio 2009 i fondi pensione dei paesi industrializzati hanno guadagnato in media il 7,4% annuo contro il 4,9% dei fondi negoziali italiani. Se poi andiamo a vedere realtà come quella danese, è lecito chiedersi come fa un paese che investe in azioni meno di noi (16% contro il 22%) a ottenere performance migliori in una fase di bull market pressochè ineguagliabile.
La risposta? Investimenti nell’economia reale: ciò di cui si discute da noi senza costrutto da mesi (anni), per rimettere in circolo contributi e risparmi degli italiani. Materiale da convegno, che però non si traduce in offerta di strumenti adeguati, trasparenti, liquidi e redditizi in cui i fondi pensione italiani (e le casse privatizzate) possano investire. Spetta dunque al singolo e al suo consulente compensare le carenze di sistema, affrontando il proprio rischio previdenziale in modo moderno. Un rischio fai da te, da gestire con un’informazione e una formazione adeguata. Perché l’arte di invecchiare bene è necessario impararla.