L’autorappresentazione, Musil e i giochi che ci insegnano a usare il denaro

All’inizio di quest’anno la rivista Science ha pubblicato una ricerca ideata da Daniel Gilbert, famoso psicologo di Harvard. Circa ventimila persone di diverse età, dai 10 ai 68 anni, hanno valutato, in molti ambiti, quanto erano cambiati negli ultimi dieci anni e quanto, secondo loro, sarebbero cambiati nei prossimi dieci anni. Nel complesso, i dati mostrano un curioso effetto che Gilbert ha chiamato «illusione della fine della storia». Succede che dai trenta fino ai sessant’anni, le persone dichiarano che la loro vita è molto cambiata nel decennio alle loro spalle, ma che non muterà nel decennio futuro. In altri termini, sappiamo che ci sono successe molte cose, ma pensiamo che ormai ci siamo stabilizzati, e che quindi la nostra storia futura sarà all’incirca una replica di quella passata. I dati mostrano che è un’illusione perché, passati i dieci anni, le persone dichiarano che sono cambiate. L’asimmetria tra il peso rilevante del passato e un futuro che si prevede scontato e stabile era già stata intuita da Robert Musil nell’Uomo senza qualità.

I giovani – dice Musil – hanno davanti molte possibilità, ma ben presto «si trovano davanti qualcosa che pretende oramai d’essere la loro vita». In altre parole con l’età adulta ci si forma un’immagine di sé, esito delle nostre qualità e non del caso. Un’autorappresentazione, frutto della nostra cultura e delle nostre esperienze, cui siamo particolarmente affezionati: al punto di ritenere improbabile un cambiamento. Adottiamo noi stessi un’illusione che il protagonista del capolavoro di Musil, Ulrich, intuisce e decide così di vedersi come un uomo senza qualità, non il prodotto delle sue presunte doti innate e delle scelte del passato, bensì del caso. Ulrich è un’eccezione, un uomo senza qualità.

I dati di Gilbert sono stati raccolti da delle persone che si dichiarano disponibili in rete, e che sono pagate (poco), come facciamo noi nel nostro laboratorio di Ca’ Foscari, a Venezia. Recentemente, è stato realizzato un test tra un campione di decine di migliaia di volontari, che hanno partecipato a un quiz sul sito web de Il Sole 24 Ore. Le loro risposte sono più autentiche perché non si aspettano pagamenti ma vogliono solo mettersi alla prova in campo economico e finanziario. Dai dati raccolti spunta di nuovo, indirettamente, l’asimmetria di Gilbert.

Quando si domanda a una persona quale sia il prezzo giusto, se gioca per mille sere dietro fila, di una scommessa in cui ci sono 50% di probabilità di vincere 200mila euro e 50% di probabilità di non vincere nulla, la maggioranza risponde correttamente che quella scommessa vale 100mila euro. E non si accontenta di meno, come fanno ogni sera i concorrenti del gioco televisivo Affari Tuoi, che sanno che quella è la loro unica possibilità. Viene cioè colta la differenza tra una sola giocata, in cui si è avversi al rischio e ci si accontenta di una cifra certa inferiore ai centomila euro, e il tempo ciclico, la ripetizione di quell’episodio per mille sere.

Quando invece entra il gioco il passato e le scelte personali già fatte, la maggioranza delle persone sbaglia. Si decide in base al passato, magari per giustificarlo, proprio come osservava Musil, e questo le conduce a fornire la risposta errata. Il test chiede a due persone, identiche in tutto, che cosa è bene fare in futuro dopo aver comprato con prezzi diversi le stesse azioni; solo pochi si accorgono che il prezzo pagato nel passato è irrilevante: se si pensa che il valore delle azioni scenderà, entrambe le persone dovrebbero venderle. Se si pensa che salirà, entrambe dovrebbero tenerle.

È un’illusione farci influenzare dal nostro passato, ma la maggioranza non può evitarlo. Lo stesso accade se dobbiamo valutare un investimento: immaginate di essere un dirigente che ha investito in due programmi A e B rispettivamente dieci e cinque milioni di euro; adesso per ottenere dai due programmi lo stesso profitto bisogna aggiungere due milioni al programma A, e uno solo al programma B. Ancora una volta, come nel test precedente, la maggioranza non si accorge che il passato è irrilevante. Bisogna scegliere B, che richiede un solo milione aggiuntivo e non A, che ne richiede due, anche se in A avete già messo più soldi. Perché il passato è passato. E invece, per la maggioranza delle persone, il passato conta, e spesso ci porta fuori strada, con tutto il suo portato di condizionamenti che ci impediscono di vivere nel presente e proiettarci nel futuro. Basti pensare alla vita di coppia e al fatto che l’amore che lega due persone è tanto maggiore quanto meno pesa sui due l’impronta dei rispettivi genitori e del contesto. Proiettarsi e progettare il futuro esige dunque la follia di essere uomini – e donne – senza "qualità".

di Paolo Legrenzi (Università Ca' Foscari di Venezia) e Marco lo Conte