Ha suscitato un mezzo vespaio di polemiche l'articolo pubblicato sul nostro sito web con le statistiche (aggiornate al 2011) relativo agli scaglioni di rendite pensionistiche. Per capire il perchè è necessario fare un passo indietro: le statistiche sui pensionati hanno in genere una chiave interpretativa sotto traccia. La premessa di rito è che le pensioni siano troppo basse e che i pensionati siano – per definizione – "poveri pensionati". Il tema è stato dibattuto l'altro anno nel corso di un convegno organizzato a Dublino da Ipe, cui ho partecipato insieme ai direttori di alcuni fondi pensione europei. Il numero uno di Atp, fondo danese pluripremiato, mi raccontava come "per definizione" le pensioni sono troppo basse, in Italia come in Danimarca come in ogni parte del mondo: con le rare eccezioni dei ricchi babyboomers, chi vive una fase delicata della propria vita come la terza (o quarta età) non può che considerare esigua la propria rendita pensionistica.
Ciò detto, il fatto che 900mila italiani percepiscano una pensione superiore ai tremila euro al mese ha suscitato molte polemiche: i commenti dei lettori si sono accavallati nel sottolineare che tremila euro non è una pensione d'oro, altri invece sottolineavano gli sprechi e il debito pubblico prodotto dal sistema retributivo operativo fino a pochi anni fa, con inevitabile conflitto generazionale tra i vecchi – ricchi e privilegiati – e i giovani, precari, insicuri e dal destino previdenziale più che incerto. C'è stato anche chi ha individuato proprio in tremila euro al mese la soglia massima da riconoscere a un pensionato "il resto se lo deve tenere lo Stato", scrive. Il che porta al quesito: da quando una pensione si può definire "d'oro"? Ovviamente qualsiasi soglia è convenzionale, ma chi sta poco sopra o poco sotto qualsiasi cifra indicativa non può che vivere con angoscia la determinazione della cifra.
La domanda è un'altra: esiste la pensione giusta? Certo, dicono i tifosi del sistema contributivo: in questo modo si ottiene quanto versato più la rivalutazione prodotta negli anni; meglio di quel retributivo che ha obbligato le generazioni a essere solidali tra loro, quando i giovani erano più degli anziani. Ora che la piramide demografica è diventata un quadrato il sistema retributivo si è dimostrato dannoso per i conti dello Stato: non a caso l'Italia è il paese che spende più di tutti gli altri paesi industrializzati in materia pensionistica, oltre il 14% del proprio Pil. D'altronde, dicono altri, non esiste un sistema contributivo puro: la stessa determinazione della quota da corrispondere all'erede di una pensione reversibile è "politica", è Welfare. Per non parlare di tassi tecnici e di coefficienti di conversione definite in base alle tavole demografiche.
E quindi? Soluzioni semplici in materia pensionistica non esistono. Chi ne sfoggia nei salotti tv – soprattutto i politici, dando mostra di un'ignoranza abissale in materia – va preso con le dovute pinze. "Gli italiani? Sessanta milioni di attuari" chiosava tempo fa il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua, adattando il motto dal gergo calcistico. Importante è la precizione delle informazioni e la consapevolezza dell'articolazione della materia, almeno per una testata come Il Sole 24 Ore che dialoga quotidanamente con i propri lettori. Di cui siamo pronti ad ascoltare l'opinione e i commenti. Anche se è agosto, li aspettiamo. (Ma.l.C.)
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