Sempre meno convinti da azioni e obbligazioni, sempre più preoccupati di coprire il proprio portafoglio contro l’inflazione e il rialzo dei tassi. E una decisa virata dai titoli sovrani dei paesi a quelli dei paesi emergenti. È quanto emerge dall’indagine annuale condotta da bfinance, che da Londra si occupa di consulenza di investimento per i soggetti istituzionali in tutto il mondo; sono state raccolte le intenzioni di investimento di cinquanta tra i maggiori investitori, soprattutto europei e americani (per tre quarti fondi pensione, ma anche Università e compagnie assicurative), che confermano alcuni trend già monitorati in passato. La crisi spinge la metà degli intervistati a ridurre l’esposizione alle azioni nei prossimi tre anni; una posizione che parrebbe sancire il declino dell’equity premium nel lungo termine da parte degli istituzionali. Una tendenza già evidente prima del torrido agosto dei mercati, quando a giugno il 44% dei gestori si proponeva di vendere azioni, mentre solo il 10% era pronto a sovrappesarle.
Ben più evidente la tendenza degli istituzionali di cambiare i pesi nel settore del reddito fisso: nel 2011 il 29% intende ridurre titoli di Stato dei paesi sviluppati (a fronte di un 10% che vuole invece investire in questi asset), mentre il 27% intende incrementare le sue posizioni nelle economie emergenti; un dato rilevante anche perchè il 42% degli interpellati non ha ancora investito nei paesi emergenti. Sempre meno Bund e sempre più Bovespa, dunque, per sostenere le pensioni degli occidentali: che per puntare ad una vecchiaia più serena guardano lontano, ma solo dal punto di vista geografico.
Perchè dal punto di vista dell’orizzonte temporale degli strumenti di investimento, l’indagine bfinance evidenzia una riduzione della duration media dei portafogli per gestire il rischio di rialzo dei tassi di lungo termine: una mossa comprensibile in una fase di tassi in rialzo. E d’altra parte si conferma la tendenza già registrata nelle precedenti edizioni della ricerca che vede i soggetti istituzionali puntare a strumenti decorrelati dai mercati finanziari: dagli immobili alle infrastrutture (direttamente o attraverso azioni di società coinvolte o anche via private equity) a strategie di investimento come absolute return, il tattico globale o quello che prevede una gestione spiccatamente attiva (absolute alfa). Non mancano gli aficionados degli hedge fund: il 19% degli interpellati conta di aumentare la propria esposizione (il 44% non li considera nemmeno), mentre solo un 2% vuole dismetterli.
Uno dei dati più significativi emersi dall’indagine riguarda il rischio maggiore paventato per il prossimo futuro: dall’inflazione si copre al momento solo il 20% dei fondi pensione e apre spazio per il futuro a un aumento dalla difesa. Come? il 71% degli intervistati punta a uno strumento dedicato come le obbligazioni inflation-linked; solo il real estate (immobili) è considerato da una quota maggiore di gestori, ossia il 65%, le infrastrutture sono preferite dal 46% mentre l’equity resiste per il 38% degli intervistati.
Ma che valore hanno le "intenzioni" di investimento dei fondi pensione e di questi istituzionali interpellati? bfinance ha verificato le effettive decisioni messe in campo, individuando qualche sorpresa: a fronte di prospettive nel 2010 invariate per le azioni, il 22% dei gestori le ha in effetti ridotte; mentre il reddito fisso, dato in netto calo (-27% l’anno scorso), è stato limato solo del 10%. Ancor più rilevante la smentita sui fondi di fondi di fondi hedge: il 4% contava di sottoscriverli, mentre sono stati dismessi dall’8% dei soggetti. Opposta la dinamica per il cash: era al tramonto per l’8% degli istituzionali e invece uno su dieci – complice la crisi – vi ha fatto ricorso.
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