Conviene riscattare gli anni di laurea o aderire a un fondo pensione?

L’interrogativo è tornato all’attenzione generale dopo la proposta poi cancellata di considerare il riscatto della laurea solo ai fini del calcolo della prestazione e non per allungare l’anzianità contributiva e quindi andare in pensione prima. Archiviato l’«infortunio» del governo, la convenienza della scelta è tutta da analizzare, almeno per quanto riguarda il tema prestazione, tralasciando la possibilità di anticipare la quiescenza. E quindi diamo subito la risposta al dilemma per poi affrontare le premesse del caso: riscattare gli anni di laurea è più efficiente in termini di rapporto contributi versati/prestazioni previste; tuttavia i fondi pensione sono più flessibili, soprattutto per la durata dell'adesione in fase di accumulazione e per questo possono offrire rendite superiori (e non di poco) l’allungamento della carriera lavorativa. Entrambi strumenti previdenziali, ma molto diversi tra loro, possono essere messi a confronto ma solo a patto di utilizzare condizioni omogenee.

Il confronto

Per l’elaborazione presa in esame, abbiamo considerato l’esborso calcolato dall’Inps per il riscatto degli anni universitari di quattro giovani e meno giovani lavoratori; abbiamo considerato che la medesima cifra (e interamente deducibile in entrambi i casi) venisse destinata in un fondo pensione aperto dai costi medi, con un’asset allocation costante 30% azionaria 70% obbligazionaria, senza mai richiedere anticipazioni e puntando a ottenere una rendita, rinunciando alla possibilità di riscattare anche solo in parte il montante finale in forma di capitale. Per rendere omogeneo il confronto, abbiamo considerato versamenti per un identico numero di anni, ossia dieci, indirizzati alle due destinazioni previdenziali, mettendo quindi a confronto il frutto di questi versamenti al momento della pensione. È il caso di precisare che le stime di rendita sono state realizzate per il primo pilastro in base ai criteri definiti dalla normativa previdenziale vigente; e per il secondo pilastro in base ai principi definiti da Covip, commissione di vigilanza sui fondi pensione, per la redazione dei prospetti informativi destinati agli iscritti.

Il risultato

In sette delle otto simulazioni prese in esame, ciascun euro destinato al recupero degli anni trascorsi a studiare, produce un surplus pensionistico superiore a quello prodotto dall’adesione a un fondo pensione (Scarica Riscatto o fondi pensione). In un caso però vince la previdenza complementare: la rendita aggiuntiva netta di 1.894 euro annui è superiore seppur di poco ai 1.876 euro prodotti dall’allungamento dell’anzianità contributiva prodotta dal riscatto volontari di quattro anni. Non abbiamo considerato il caso di un 55enne, in quanto a redditi (presumibilmente) più elevati e a pochi anni dall’età della pensione sia il riscatto della laurea che l’adesione a un fondo pensione risultano scelte poco efficienti: in un caso per l’alto esborso, nell’altro perchè difficilmente in pochi anni si costituirebbe un montante tale da rendere conveniente la rendita rispetto al ritorno della somma in forma di capitale. Il riscatto degli anni passati a studiare per ottenere il diploma di laurea, ovviamente, può accompagnarsi con l’adesione a un fondo pensione: è questa, in effetti, la prima opzione almeno per i due 27enni presi in esame. E, per chi ha redditi ancora contenuti a inizio carriera, rappresenta un’occasione irripetibile.

La lezione

Questa elaborazione tuttavia ci fornisce un’indicazione che ad alcuni parrà inedita. Non sempre la pensione obbligatoria è premiante rispetto a quella complementare; e questo per quanto riguarda la rivalutazione dei contributi versati, collegati nel primo pilastro all’andamento del Pil e nel secondo pilastro ai mercati finanziari; e per quanto riguarda i criteri di calcolo delle prestazioni, ossia i coefficienti di trasformazione. Pesa, inoltre, il cosiddetto «rischio politico», ossia la possibile modifica delle condizioni di convenienza tali da incidere in modo rilevante sul primo pilastro, senza lasciare al lavoratore grandi possibilità di gestione, a differenza di quanto accade al fondo pensione, in cui è possibile aumentare o ridurre il rischio in portafoglio (fino a optare le rendimenti garantiti) Quel che è certo è che a un fondo pensione non si aderisce certo dai 27 anni ai 37: basta raddoppiare la contribuzione allungando i versamenti fino ai 47 anni per raddoppiare la rendita a 2483 euro. Per non parlare della possibilità di aderire a un portafoglio 100% azionario: tra i 27 e i 37 anni di età si può stimare che produca senza ulteriori interventi una rendita stimata in 4.725 netti euro annui. Un’opzione da valutare con attenzione per chi ha diversi decenni di lavoro davanti a sé, durante i quali, ritengono in molti, i livelli toccati dall’attuale crisi finanziaria saranno ampiamente superati.

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