Magari fosse solo l’inflazione l’avversario da battere. Il primo obiettivo dei fondi pensione più che garantire il valore «reale» del capitale investito, è di ottenere una rendita complementare; capace di compensare il gap pensionistico al momento del pensionamento, ossia la scopertura tra ultimo stipendio e primo assegno pensionistico. Un gap destinato a salire, col progressivo passaggio al sistema contributivo e per l’allungamento dell’età media. Per questo l’obiettivo di ottenere una rendita complementare differisce a seconda delle caratteristiche individuali dell’aderente: età, sesso e anzianità contributiva, in particolare. La costruzione di una pensione di scorta riguarda l’orizzonte di medio/lungo termine; ma inevitabilmente nel breve c’è un altro ostacolo "psicologico" da fronteggiare: il trattamento di fine rapporto, ossia il 6,91% della retribuzione lorda che la normativa (ultima versione, la 252/2005) prevede sia da destinare ai fondi pensione, insieme al contributo volontario e a quello del datore di lavoro. Inevitabile – o quasi – che nell’analisi dei rendimenti dei fondi pensione l’occhio cada sulla rivalutazione del Tfr: un benchmark innaturale ma difficilmente sradicabile dal radar dei sottoscrittori.
In ogni caso, tredici fondi pensione garantiscono un rendimento pari alla rivalutazione del Tfr; in tre casi il livello di inflazione europea, in uno il tasso massimo garantibile da una compagnia (su indicazione Isvap), mentre negli altri casi il rendimento garantito arriva fino al 2,5% annuo. L’ostacolo più alto è però proprio il Tfr: il meccanismo di calcolo che ne determina la rivalutazione mostra la parentela stretta con l’inflazione, visto che è prodotto aggiungendo l’1,5% al 75% della crescita dei prezzi al consumo. Il Tfr offre una copertura quasi perfetta dall’inflazione: quasi, perchè nell’ipotetico caso in cui i prezzi dovessero salire oltre il 6%, il Tfr crescerebbe meno dell’inflazione stessa.
I gestori previdenziali si trovano nella non semplice condizione di giocare due partite contemporanee: nel breve quella contro un tasso di rivalutazione che richiede l’utilizzo di strumenti dalla rischiosità modesta; ma allo stesso tempo assumendo per il lungo termine posizioni in grado di ottenere risultati ben superiori all’inflazione. Per esempio in azioni, secondo il principio dell’equity premium risk. Nella sua recente Relazione Annuale per il 2010 la Covip, commissione di vigilanza sui fondi pensione, registra come al netto dell’inflazione le azioni abbiano reso negli ultimi 110 anni il 5,4% contro l’1,7% delle obbligazioni; pur con una variabilità di rendimento annuo delle azioni del 17% contro il 10% dei bond. Ma se non si hanno 110 anni per vedere come va a finire?
Analizziamo la sfida tra fondi pensione e Tfr negli ultimi anni: la liquidazione ha avuto la meglio ad esempio sui fondi negoziali solo nel 2007 (+3,1 a +2,1%) e nel 2008 (+2,7 a -6,3%). In tutti gli altri casi le gestioni previdenziali hanno reso di più del Tfr: in particolare nel 2005 con un +7,5 delle prime contro il +2,6% del Tfr; e nel 2009 con un +8,5 dei fondi rispetto al +2% della liquidazione. Missione compiuta, dunque? Attenzione: non bisogna dimenticarsi del primo obiettivo della previdenza: innalzare di almeno il 10% (dal 50/60%) il tasso di sostituzione al momento del pensionamento. Ma per ottenere questo risultato ciascuno deve scegliere il comparto giusto, controllare i risultati, modificare periodicamente le scelte ove necessario, dosare la giusta contribuzione, Ma soprattutto iniziare presto a risparmiare, per disporre al meglio dell’arma più potente: il tempo.
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