È più convincente chi intasca per sé il 70% dei premi che gli vengono affidati o uno che ne incassa solo il 2%? La spiegazione del successo dei piani individuali pensionistici (Pip) è tutta qui: forti incentivi alle reti distributive, ossia bancari, promotori finanziari e agenti assicurativi che ricevono un cospicuo bonus al momento della sottoscrizione del prodotto. Il meccanismo, dal punto di vista commerciale, è molto semplice: le reti che collocano i Pip retrocedono all’intermediario tra il 60 e l’80% dei premi che l’aderente paga il primo anno. Non tutte le reti, alcuni riconoscono al collocatore la quota parte spettante (circa l’80%) dell’indice sintetico di costo previsto dalla polizza previdenziale: il 2%, quindi, se l’Isc è del 2,5 per cento.
La differenza è abissale e condiziona i comportamenti di chi vive di commissioni. I fondi aperti, anch’essi strumenti individuali ma meno costosi (vedi tabella), consentono un minor agio nell’impacchettare incentivi commissionali rilevanti per i collocatori. La compagnia che emette i Pip in questo modo premia con un forte incentivo l’intermediario che le ha offerto l’opportunità di fidelizzare un cliente per diversi decenni, anticipandogli il dovuto previsto da lì a diversi anni.
Si tratta della versione aggiornata del cosiddetto «preconto»: è il meccanismo per cui le commissioni vengono anticipate all’intermediario, in questo caso dalla rete; in precedenza invece dal sottoscrittore, che su cento euro versati all’intermediario doveva lasciarne anche più di 80 al collocatore stesso. Con il risultato di patire una doppia penalizzazione: scarsa flessibilità in uscita ed esigui versamenti a fini pensionistici. Una pratica che è stata vietata dalla riforma del Tfr (la 252/2005) e la successiva attività di Covip.
Il preconto a carico della rete è frequente tra le compagnie più attive nel mercato dei Pip: in vetta alla classifica troviamo Poste Vita, seguita da Alleanza-Toro, Generali, Ina-Assitalia. Diverso il caso di Mediolanum: forse anche a causa dell’elevato turnover dei propri professionisti, la compagnia guidata da Ennio Doris riconosce ai collocatori poco più della quota parte dei costi annuali prevista dalla nota informativa. Ma quanto versano i sottoscrittori di Pip? Circa mille euro l’anno, meno di quanto va a negoziali e aperti ad adesione collettiva: mancano il Tfr e il contributo datoriale. Ma in compenso ad aderire sono frequentemente i giovani, che difficilmente vengono “intercettati” dai fondi pensione. Una pratica in definitiva encomiabile, viste le difficoltà cui gli under40 di oggi si troveranno di fronte al momento del loro pensionamento.
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