Immaginate di salire con vostro biglietto in mano su un aereo. Con un sorriso e un buongiorno l’hostess vi inizia a domandare se sapete tracciare una rotta nei cieli o se conoscete l’assetto per compiere l’atteraggio. Naturale strabuzzare gli occhi e desiderare di scappare via. Chi vola affida la propria incolumità a una serie di standard di sicurezza e alla perizia dei piloti, per completare il viaggio. A pensarci bene quando si aderisce a un fondo pensione ci vengono chieste – esplicitamente o implicitamente – domande difficili come quelle dell’ipotetica hostess.
Quanto destinare alla previdenza complementare? Quando bisogna modificare il grado di rischio del nostro portafoglio? Naturale che un impiegato, il commesso di un negozio o un’insegnante provino un senso di smarrimento davanti a decisioni che richiedono competenze specifiche. Servirebbe un consulente, possibilmente non in conflitto di interessi e non troppo oneroso. Oppure meccanismi automatici per guidare l’aspirante pensionato nel suo viaggio fino alla quiescenza. Tra questi, quello che sta conquistando interesse negli Stati Uniti ma anche in Europa, è il «lifecycle»: si tratta dell’adeguamento periodico del grado di rischio presente nel portafoglio previdenziale.
Col pilota automatico della previdenza, in sostanza, un giovane neoassunto trentenne versa le sue quote periodiche in un comparto di investimento a maggior componente azionaria, a maggior rischio e maggiore potenzialità nel lungo termine; che corrisponde al suo orizzonte temporale. La componente azionaria si ridurrà a tappe prestabilite per lasciar sempre più spazio a titoli obbligazionari o garantiti, che diventeranno prima maggioritari poi esclusivi negli ultimi anni di lavoro. L’automaticità di questo meccanismo ha il pregio di standardizzare le scelte correlandole all’anzianità contributiva e anagrafica. E ci si risparmia dall’ònere di decisioni che nella gran parte dei casi risultano difficili anche per i professionisti della finanza.
Attenzione, però: questo automatismo non garantisce risultati e non protegge totalmente da eventuali crack di Borsa. Si tratta in definitiva dell’applicazione di una serie di teorie finanziarie applicate alla gestione ottimale dei portafogli di investimento. Teorie che la recente crisi finanziaria ha insidiato, ma non smentito del tutto. La principale è che le azioni nel lungo termine rendono più delle obbligazioni: dunque è rischioso non utilizzarle se mancano decenni alla conclusione del proprio piano, in questo caso, previdenziale.
Altra avvertenza: al fondo pensione è possibile chiedere anticipazioni per spese mediche, acquisto o ristrutturazione prima casa o per altri motivi ancora. Eventi che interrompono il "ciclo" prefigurato, con possibili penalizzazioni. Sarebbe opportuno, qualche tempo prima della richiesta di anticipo, passare a un comparto prudente e consolidare i risultati fin lì ottenuti (se non troppo cattivi). Ma ogni quanto è necessario cambiare la dose di rischio? E soprattutto, questi cambiamenti devono essere totalmente automatici, o ci deve essere la possibilità di rinviare o anticipare la decisione? Generalmente è la seconda opzione a prevalere: anche per evitare di cambiare profilo in un momento sbagliato. Pensate a chi avesse ridotto la quota di azioni a fine 2008, oggi avrebbe mancato l’occasione costituita dai corposi recuperi derivanti dal rally del 2009. Non a caso questa è l’opzione preferita dal primo fondo pensione negoziale che ha avviato il lifecycle, Previmoda, e dalla gran parte dei numerosi fondi aperti e Pip, che hanno lanciato il lifecycle da più tempo. Ma il pilota automatico è anche remunerativo? L’abbiamo provato a verificare nell’elaborazione sintetizzata qui in allegato.
In vent’anni un portafoglio lifecycle guadagna il 255,65% a fronte di un 195,78% di un portafoglio bilanciato. Eventi estremi potrebbero cambiare questo esito. Fatto sta che il lifecycle serve soprattutto a ottimizzare la volatilità dei mercati e la gestione del rischio, insito in qualsiasi scelta finanziaria. Un alternativa concorrenziale è utilizzare per il portafoglio titoli affidabili, dalla volatilità estremamente contenuta, come quelli indicizzati all’inflazione, rispetto alla quale offrono un extra rendimento: il BTpi rende l'1,8% netto circa, l’OaT francese poco meno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA