I fondi pensione, parafrasando ben altro refrain, sono un po’ come la democrazia: un sistema con molti difetti, ma insostituibile, se si vuole evitare il dimezzamento del proprio reddito, al momento della pensione. I sistemi previdenziali pubblici di tutto il mondo industrializzato non brillano certo di salute e lasciano spazio agli strumenti privati per offrire una stampella ai futuri pensionati. L’occasione per toccare con mano il fenomeno è alle porte: dal prossimo gennaio è prevista l’introduzione di nuovi coefficienti di trasformazione.
La sforbiciata
Sono i numeri che «traducono» la somma dei contributi rivalutati durante l’attività lavorativa in una rendita. Numeri correlati all’aumento dell’aspettativa di vita, in continua crescita anche in Italia. L’aggiornamento dei coefficienti era stato decretato decennale dalla legge Dini nel 1995; un po’ di cautela politica e qualche ritardo tecnico hanno procrastinato la misura dal 2005 al 2010. L’aggiornamento d’ora in poi sarà triennale e produrrà a gennaio un taglio delle nuove prestazioni fino al 3,7% (vedi « Il Sole 24 Ore» del 15 ottobre 2009).
Rischio roulotte
Ricorrere ai fondi pensione significa rischiare? Affidando i propri risparmi a Wall Street e finire, come ha paventato qualche giorno il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti, a mangiare cibo per gatti in una roulotte? Polemiche a parte, abbiamo individuato con la collaborazione di Mefop il percorso tipo che un lavoratore deve compiere per costruirsi la sua pensione su misura e salvare il suo reddito futuro. Il tutto evitando rischi eccessivi: nell’elaborazione che qui proponiamo abbiamo ipotizzato che i quattro lavoratori investano i propri risparmi nel comparto estremamente prudente di un fondo pensione: 85% di titoli di Stato e 15% di titoli azionari.
Il percorso
Quattro soggetti tipo, rappresentativi della popolazione dei nostri lettori e delle criticità connesse con la materia: per ciascuno si assume la possibilità di andare in pensione o alla prima finestra utile oppure all’ultima possibile. Analogamente abbiamo assunto che i nostri quattro profili aderiscano ad un fondo pensione o con una contribuzione minima (solo il trattamento di fine rapporto per i dipendenti e 2500 euro l’anno per gli autonomi); oppure alzando la contribuzione stessa: per i dipendenti un contributo volontario, che porta dietro quello datoriale fino al 3% oltre al Tfr e per gli autonomi con un versamento di 5mila euro annui.
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I numeri dicono …
Chi decide di utilizzare gli attrezzi giusti per soccorrere il proprio reddito futuro, riesce a ridurre notevolmente la scopertura rispetto all’ultimo stipendio: passando nel primo caso dal 54,1% fino al 81,55%. A costo di metter mano anche in misura cospicua al portafoglio; cosa che – soprattutto per gli autonomi – dipende dalla salute patrimoniale (abitazione di proprietà, altri redditi eccetera). Ovviamente questi percorsi hanno margini di flessibilità: non ultimo la scelta del comparto cui aderire, che inizialmente può essere più rischioso per i più giovani. Da segnalare che per le donne la leva del pensionamento ritardato è meno evidente, visto che questo può avvenire 2 o 3 anni dopo, mentre per gli uomini 5 anni dopo.
Certezza roulotte
Il problema è che però su 23 milioni di lavoratori solo 5 aderiscono a un fondo pensione (e una fetta rilevante con poco o nulla). Per tutti gli altri l’ipotesi di trovarsi a vivere in una roulotte è quasi una certezza. E senza nemmeno il cibo per gatti, visto che non si à può contare nemmeno sulla pensione di scorta. A meno che non ci pensi lo Stato: aumentando la contribuzione (già al 33%) o alzando le prestazioni. Come? L’unica via è l’aumento delle tasse. La scelta più impopolare che un politico possa fare. A parte tagliare le pensioni.