Il fondo pensione della Norvegia stringe sul clima

A qualcuno parrà singolare, quasi paradossale, che chi vive di petrolio si impegni contro il riscaldamento climatico. Altri plaudiranno alla scelta del fondo pensione norvegese di penalizzare chi vìola i limiti di emissione di Co2, escludendone i titoli dal proprio portafoglio di investimenti. Lo Statens Pensjonsfond – Utland, meglio conosciuto nella traduzione inglese di Government Pension Fund Norway, da anni è impegnato in questo tipo di scelte «etiche», che mettono al bando le società quotate in base ai comportamenti di queste ultime: per quanto riguarda i rapporti con i dipendenti, sanzionando con la vendita dei titoli chi sfrutta il lavoro minorile; o per ciò che concerne comportamenti nocivi per la collettività (tabacco, armamenti), oppure per quanto riguarda la tutela dell’ambiente. La Norvegia e il suo fondo pensione vivono di petrolio: una fonte di reddito che fa della Norvegia uno dei Paesi più ricchi al mondo e del fondo pensione il secondo a livello mondiale, dopo quello pubblico giapponese e il secondo fondo «sovrano» dopo l’Abu Dhabi Investment Authority. Un colosso da circa 260 miliardi di euro, cinque volte tanto l’inteso sistema dei fondi pensione italiano, che quando si muove è in grado di determinare le fortune o le sfortune delle società in cui investe. Il Parlamento di Oslo è chiamato ora a integrare il Codice Etico del fondo pensione, in vigore da cinque anni, con alcuni criteri che escludono le società che vìolano i livelli consentiti di emissione di Co2, dai 7mila titoli di cui è composto il portafoglio. Il protocollo invita le società in cui il fondo investe – e che quindi finanzia – a metter in campo entro il 2020 un modello di business sostenibile a livello ambientale, che sostituisca il carbon fossile come fonte di energia con altre più efficienti. «Pollution is a bad business», dicono quelli di Bellona, l’associazione ambientalista tra le più attive nel pressing «etico» sul Governo e sul fondo pensione pubblico. È una mossa sostenibile anche finanziariamente? Nel quartier generale del fondo rispondono orgogliosamente ricordando di essere investitori di lungo termine e responsabili sia per quanto riguarda il reddito futuro degli aderenti che per le condizioni dell’ambiente in cui costoro vivranno in futuro. Secondo stime al 2100, a lunghissimo termine cioè, il 20% del Pil verrebbe impiegato in misure d’emergenza per i danni ambientali. Per questo appare del tutto razionale che la Norvegia versi oggi l’1% del prodotto interno lordo in progetti di tutela ambientale, un miliardo nella salvaguardia dell’Amazzonia. La crisi finanziaria ha colpito duro anche questo fondo pensione: il ribasso per il 2008 è stato del 23,3%, ossia l’equivalente di 72,5 miliardi di euro; l’impennata del petrolio ha però portato circa 44 miliardi di euro nelle sue casse. Ciò non ha frenato gli interventi: pochi giorni fa la società cinese Dongfeng è stata messa al bando (lo 0,22% della capitalizzazione della società) e esclusa dal portafoglio a causa della vendita di camion militari al regime dittatoriale della Birmania. Il Comitato etico del fondo ha consigliato al fondo l’esclusione della tedesca Siemens (ne detiene l’1,34%), per le timide contromisure adottate dopo gli episodi di corruzione di cui sono stati protagonisti i manager. Il fondo ha respinto l’invito: il Governo di Oslo vuole utilizzare questa quota per influire su Siemens perchè rafforzi il suo piano anti-corruzione.