Borse in crisi, I fondi pensione calano del 3,4%

Una flessione del 3,4% da inizio anno a fine agosto per i fondi pensione: un dato che media il -2,5% dei negoziali e il meno -5,7% degli aperti; i piani individuali pensionistici (Pip) invece accusano un calo dell’8,8%, riferiti all’andamento dei fondi interni cui vengono destinati i contributi. E l’esposizione a titoli andati in default come Lehman Brothers risulta estremamente limitata: solo in 16 fondi su 600 è stata riscontrata la presenza di azioni o obbligazioni della banca Usa fallita per una quota superiore allo 0,5% del patrimonio e quasi mai oltre l’1 per cento. È questa la fotografia fornita dalla Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensione, dell’impatto prodotto dalla crisi dei mercati sulla previdenza complementare.

Una rilevazione rassicurante, presentata ieri presso la Commissione Finanze del Senato, nell’ambito delle audizioni delle Authority di Vigilanza sui recenti ribassi di Borsa e sui rischi del credito, soprattutto se confrontata con il contesto finanziario che stanno vivendo i mercati. Attanagliati dalla crisi di liquidità e con ribassi dei listini azionari ben superiori al 40% da inizio 2008. Il Presidente facente funzione, Bruno Mangiatordi (a metà del luglio scorso è scaduto il mandato del presidente Luigi Scimìa), ha spiegato ai membri della Commissione come l’impatto negativo dei mercati abbia toccato marginalmente gli aderenti al secondo pilastro pensionistico: nei negoziali poco più dell’1% degli aderenti infatti è iscritto a comparti azionari, il 38% a bilanciati e il 53% a obbligazionari, mentre un altro 12 è iscritto a linee garantite. Nei fondi aperti, d’altro canto, è più alta la quota degli aderenti iscritti a linee azionarie, pari al 30 per cento. Da rilevare per quanto riguarda i Pip, l’assenza dell’utilizzo di contratti index: alcuni dei quali sono rimasti esposti in modo rilevante all’insolvenza di Lehman Brothers; mentre la distribuzione degli aderenti è quasi paritaria tra iscritti a gestioni separate di ramo I, tipicamente, prudenziali, e gestioni di ramo III di tipo unit linked, il cui rendimento è collegato a fondi interni.

Diversi i fattori che hanno protetto dalla tempesta finanziaria i contributi dei lavoratori: ultimo, in ordine di tempo, l’autorizzazione da parte della Covip di innalzare oltre il 20% del patrimonio il limite di detenzione di liquidità, per meglio gestire la discesa dei mercati. Mentre tra i fattori consolidati – ha ricordato Mangiatordi – determinante è stato il decreto 703/96, che impone ai fondi una marcata diversificazione del portafoglio e rigidi criteri di investimento in titoli quotati e liquidi. Fattori che hanno portato i fondi pensione ad evitare strumenti rischiosi come obbligazioni strutturate, spingendo i titoli di Stato al 58,9% del patrimoni dei negoziali e al 41,7% degli aperti.

Nella sua testimonianza in Commissione al Senato, Mangiatordi ha ricordato il monitoraggio svolto dalla Commissione sull’attività dei fondi: in particolare sulle scelte di investimento e sulle modalità con le quali sono definiti i mandati alle società di gestione. E proprio in questo contesto di crisi il Presidente ha spiegato che sulla previdenza complementare «è possibile fondare una più stabile fiducia nell’opportunità della scelta di partecipazione indipendentemente dalle fasi alternanti dei mercati. Il contesto critico attuale – ha aggiunto Mangiatordi – conferma la necessità di interventi mirati per favorire la diffusione della cultura finanziaria e previdenziale tra i cittadini e i lavoratori». Valorizzando i vantaggi derivanti dai diversi fattori: «i rendimenti, il vantaggio fiscale e il contributo del datore di lavoro».