«Era inevitabile, la poca convenienza del Tfr in busta paga è evidente. Fondi pensione tutta la vita». Questo uno dei commenti a questa rubrica la scorsa settimana sulle ragioni che hanno spinto finora pochissimi lavoratori a presentare domanda di Quir, il Tfr in busta paga. A far la differenza il maggior peso fiscale e la propensione al risparmio, che disincentiva allo smobilizzo per il breve termine. Allora perché i fondi pensione faticano a fare breccia? Dati per rispondere li ha diffusi la relazione annuale della Covip, presentata pochi giorni fa. Quasi il 30% dei lavoratori è iscritto, il patrimonio è oltre l’8% del Pil ed entro fine 2015 supererà il 10%. D’altra parte la crescita degli iscritti alle forme individuali è (quasi) apparente: su 6,5 milioni, hanno smesso di versare contributi un milione e mezzo di aderenti, quasi tutti a fondi aperti e polizze (Pip). Sul patrimonio: nel 2014 sono stati versati contributi per 13 miliardi di euro, 600 milioni in più del 2013, ma una parte di questi — 5,3 miliardi — provengono da Tfr (meno della metà) ossia da una voce che comunque non è a disposizione del lavoratore in forma liquida (come invece i contributi volontari).
Come rendere lampante la convenienza di aderire a un fondo pensione, dunque? Il Ddl concorrenza scioglierà questi nodi? E in definitiva come convincere la gente a mettere i propri risparmi in strumenti di lungo termine? Innanzitutto non si può dimenticare che la crisi ha drenato risorse agli italiani, differenziati in una piramide economico-sociale ancor più allungata. Il Ddl concorrenza che, com’è noto, allargherà la portabilità delle posizioni individuali mettendo in competizione strutture profit e no profit. Lungo la strada verso possibili fusioni si discute già di soglie minime di “sopravvivenza”: circolano indicazioni per cui saranno invitati a unirsi i fondi con meno di 5/600 milioni di euro di patrimonio e/o almeno 100mila aderenti. Sono 11 i fondi pensione con uno stock di questa dimensione, come riferito proprio da Covip; 268 fondi su 496 (la metà) hanno meno di 100 iscritti e tutti insieme hanno un patrimonio pari all’1% del totale. Assisteremo a fusioni forzate anche tra fondi pensioni e Pip? E cosa diranno banche e assicurazioni? Forse il Ddl riuscirà nel suo intento se negoziali e preesistenti saranno portati a regime ad avere una rete di distribuzione/consulenza previdenziale. Solo così una seria campagna informativa da parte della mano pubblica non sarà necessaria.