Prudenti lo sono sempre stati. E i recenti scossoni del mercati finanziari causati dalla crisi dei mutui sub-prime, hanno spinto i fondi pensione ad alleggerirsi dalle azioni ed aumentare la già alta esposizione al mercato obbligazionario. Dall’analisi diffusa dalla Covip, in occasione del convegno su «La crescita della previdenza complementare nel 2007», emerge evidente una tendenza che vede sia i negoziali che gli aperti ridurre di circa un punto e mezzo percentuale i propri investimenti in titoli di capitale, rispetto al portafoglio 2006.
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Una mossa che tuttavia non ha garantito loro risultati del tutto soddisfacenti: dopo quattro anni di fila, proprio in quello in cui oltre 12 milioni di lavoratori dovevano scegliere tra Tfr e fondi pensione, questi ultimi sono stati sorpassati dal tasso di rivalutazione del trattamento di fine rapporto (vedi tabelle qui a destra); con il segno meno che fotografa la media dei fondi pensione aperti nel corso del 2007. Un risultato di breve, che tuttavia non offusca quello di medio: con il Tfr battuto di oltre 10 punti percentuali nel corso del quinquennio 2003-2007. Per la verità uno dei più brillanti della recente storia finanziaria, che ha visto per esempio Piazza Affari guadagnare dal 2003 in poi il 14,9%, poi il 17,5%, quindi il 13,9, fino al 19,8%, per poi cedere alla pressione della crisi del settore bancario, che ha fatto scendere l’S&P/Mib del 7% l’anno scorso.
Servirà più tempo, per poter verificare la tenuta sul lungo termine della previdenza complementare. Ma al di là delle dichiarazioni di rito sulla tenuta del sistema, è già iniziata una riflessione sul futuro finanziario dei fondi pensione: che non può dipendere – sia nel bene che nel male – dalla dinamica dei mercati, cui addossare la colpa dei ribassi, ma dimenticarne l’effetto in caso di rialzi. Una riflessione che riguarda principalmente gli attivi da utilizzare nella gestione: la crisi di Borsa dell’ultimo anno ha depresso sia le azioni che i corsi dei titoli di debito, circostanza che sta spingendo verso una ridiscussione degli asset per la gestione: una strada che porta dritta verso la riforma del decreto 703/96 (vedi articolo in pagina) sui criteri e i limiti degli investimenti e che fa tornare in auge le ricette degli advisor sulla diversificazione tra portafogli core e satelite (che diversificano gli stili di gestione nella parte preponderante del portafoglio e in quella minoritaria), accentuando il ruolo di decorrelazione offerto da strumenti come hedge fund, private equity e immobiliare.
Qualcosa già si muove: il recente rinnovo di molti mandati è stata l’occasione per ridurre le commissioni ai gestori; Cometa, conferirà gli attivi in gestione solo a chi mostrerà di aver battuto il benchmark, mentre Fonchim rivedrà i mandati di alcuni gestori e le loro remunerazioni. Con uno sguardo rivolto a quanto accade all’estero: un recente sondaggio del governo scozzese registra la forte insoddisfazione degli iscritti ai fondi pensione per i recenti risultati: i rendimenti nel 2007 cresciuti in media "solo" del 5,41% contro il 9,17% del 2006. Nel Regno Unito, invece, non ha ancora comunicato il dato 2007 Bt, fondo che attraverso il gestore Hermes Pensions Management interviene attivamente su governance e remunerazione dei titoli in cui investe; nel 2006 ha realizzato un +12,7%, contro un benchmark dell’11,3%, corollario di un rendimento medio annuo di dieci anni pari al 9,3%, contro un benchmark del l’8,9%. Un decennio in cui tra il 2000 e il 2002 l’Msci World ha fatto registrare cali del 7,1%, del 13,7 e del 26,8%.
Ma quante e quali azioni ci sono nei fondi pensione italiani? I negoziali hanno il 25,8% con la parte preponderante, il 15,3% del totale, in azioni di società dell’Unione Europea; i titoli Usa occupano il 5,7% del loro portafoglio. Percentuali superiori per gli aperti: in equity c’è il 46% del totale, le azioni Ue valgono il 31,3% e quelle Usa il 29%. E Piazza Affari? Le azioni quotate alla Borsa italiana valgono il 2,2% del portafoglio dei negoziali e il 4,6% degli aperti.