Tfr in azienda o al fondo? Il dilemma resterà probabilmente, ma ora sono gli scettici a sorridere. E non potrebbe essere altrimenti visto l’annus horribilis alle spalle: un 2008 che, come si legge nelle pagine precedenti, ha penalizzato le quotazioni dei fondi negoziali in media del 5,9%, favorendo così il recupero del Tfr, che invece si è rivalutato del 2,7 per cento. In questa particolare corsa, anzi, a fine anno si è verificato un sorpasso storico: considerando le performance complessive dal 2003, il Tfr rivalutato (+17,2% in questi 6 anni) ha, se pur di poco, sopravanzato i rendimenti dei negoziali (+16,5%). Un dato per certi versi sorprendente, visto che due anni fa questi ultimi viaggiavano a una velocità doppia rispetto ai primi, ma che va riletto alla luce della profonda crisi dei mercati finanziari di questi ultimi 15 mesi. I sostenitori della previdenza complementare tendono tuttavia a minimizzare questi dati, ricordando che in fondo ciò che conta è quanto il dipendente si ritrova in tasca alla fine di questo lasso temporale: non la performance nuda e cruda, ma il controvalore complessivo che tiene conto da una parte del contributo aziendale e dall’altra dei diversi periodi in cui i versamenti sono stati effettuati, un’ottica definita money weighted. Tenendo presente quest’impostazione, in effetti, la situazione appare più articolata. A titolo di esempio si sono presi gli iscritti a Fonchim (vedi tabella a fianco), il fondo pensione dei dipendenti del settore chimico e farmaceutico, primo negoziale autorizzato in Italia. Includendo il contributo aziendale, l’esito del confronto Tfr-fondo varia sensibilmente in base alla data di iscrizione e alla scelta del comparto (più o meno aggressivo) da parte del lavoratore. Un sottoscrittore che abbia apportato a partire dal 1997 il Tfr al comparto Stabilità (70% obbligazioni e 30% azioni) di Fonchim si troverebbe oggi 36.865 euro, più dei 30.288 euro del «gemello» che invece scelse di lasciarlo in azienda. Questo nonostante la rivalutazione del Tfr (1.858 euro) sia superiore al rendimento del fondo (1.645 euro): a far la differenza è il contributo versato dall’azienda. Spostando l’orizzonte temporale al 2003 la situazione cambia, almeno in parte. Da quella data è infatti disponibile il comparto Crescita, più esposto alle azioni (60%) e perciò anche più colpito negli ultimi mesi: chi ha affidato il denaro a questa linea risulterebbe penalizzato di poche centinaia di euro nei confronti del Tfr, mentre chi ha puntato su Fonchim Stabilità conserverebbe ancora un margine nonostante il rendimento negativo del fondo. Avvicindandosi ancora di più ai giorni nostri (2007), il confronto – complice la crisi sui mercati finanziari – risulta invece perdente per entrambe le linee di investimento. Anche se non si tratta di analisi incoraggianti, bocciare i fondi previdenziali sulla base di simili dati sarebbe ingeneroso e prematuro. Prima di tutto perché non si tiene conto del trattamento fiscale più favorevole al momento dell’erogazione e del beneficio derivante dalla deducibilità dei versamenti fino a 5.164,57 euro l’anno. In secondo luogo (e il parziale successo ottenuto dagli iscritti nel 1997 lo dimostra) perché quando si parla di pensione è appropriato analizzare le performance nel lungo periodo. La scelta del comparto resta in ogni caso cruciale: adesso chi ha puntato sulle linee più aggressive si dispera, ma acquistare quote aggiuntive nelle fasi negative di mercato potrebbe essere l’arma vincente. Almeno per coloro che hanno di fronte a sé ancora un lungo periodo di versamenti prima della pensione.
di Maximilian Cellino