La parola chiave è sostenibilità, ossia la capacità di assicurare nel tempo standard di prestazioni sanitarie integrative, sulla base delle ipotesi di crescita demografica delle platee di riferimento. Ai fondi sanitari – strumenti assicurativi collettivi che integrano e talvolta sostituiscono le prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale – viene chiesto di farsi carico dei "buchi" che il Ssn lascia al cittadino che necessita di cure, diagnosi o ricoveri. Per questo è fondamentale che le prestazioni erogate siano sostenibili con i contributi che vengono incassati: ciò nel corso degli anni futuri, quando gli iscritti ai fondi sanitari invecchieranno aumentando la necessità di ricorrere alle prestazioni.
Circa 5 milioni di italiani sono iscritti ai circa 300 fondi sanitari registrati presso il Ministero del Welfare. Un registro che non fa altro che ratificare l’attività dei fondi, ma non ne regolamenta l’operato, se non per l’obbligo di destinare almeno il 20% delle prestazioni dei fondi a cure odontoiatriche, cure fisioterapiche, rimborso ticket e long term care, ossia prestazioni in denaro o in natura di supporto a chi non è autosufficiente. In assenza di una stringente normativa, il Consiglio Nazionale degli Attuari ha definito le linee guida che i fondi sanitari devono rispettare, per garantire nel tempo l’equilibrio tra prestazioni e contributi, per ciascuna struttura. Realtà talvolta molto differenti tra loro: alcune coprono le spese mediche solo degli attivi (FondEst a differenza di Fasdac, per esempio), altri tutte, c’è chi sceglie di rimborsare solo gli interventi più gravi e onerosi e chi invece tutto.
Sta al consiglio di amministrazione di un fondo sanitario, eletto dalla platea di riferimento, prendere le decisioni sul livello di prestazione. Con il supporto di chi, come un attuario, deve individuare l’equilibrio tra i futuri rimborsi di prestazioni sanitarie e le future entrate per contribuzioni. Si tratta di calibrare e fissare idonee basi tecniche sulle frequenze di consumo di prestazioni sanitarie da parte degli iscritti nonché sui costi associati a tali consumi. Per categoria di prestazioni (odontoiatria, visite, ricoveri ecc.) e per età e per sesso; proiettando il collettivo sulla base di queste ipotesi si riesce a dare un giudizio di lungo termine sullo schema contributi/prestazioni e sulla sua solidità prospettica (vedi Scarica Il caso sostenibile e il caso non sostenibile).
Garantendo, in sostanza, che in futuro il fondo sanitario continui a fornire un sopporto alla salute degli iscritti, puntando ove possibile ad aumentare le prestazioni. Il tema non è di secondaria importanza, visto che in prospettiva è facile indovinare una riduzione della copertura del Servizio Sanitario Nazionale. E che già oggi la crisi morde gli italiani spingendo molti a ridurre le cure: 9,1 milioni di italiani hanno infatti rinunciato a prestazioni sanitarie per ragioni economiche nel 2011, come evidenziato da uno studio Rbm Salute-Censis. Dati che sostengono la tendenza a consolidare i fondi sanitari nelle contrattazioni tra aziende e lavoratori, sia a livello nazionale sia locale. Con una sfida ulteriore: la collaborazione, se non l’integrazione tra i fondi sanitari e i fondi pensione, per rendere più efficienti entrambi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA