Sono sempre di piu' gli asset manager che lanciano fondi con target di investimento i minibond. L'operazione punta a fornire al sistema della piccola e media impresa quella liquidità che il credit crunch bancario ha sottratto. Ma attende per essere completata il supporto decisivo della mano pubblica: tramite Cassa Depositi e Prestiti, Poste italiane o altri soggetti controllati dallo Stato. Da tempo le pagine del Sole 24 Ore hanno iniziato a sollevare il tema e la convegnistica recente studia possibilità, vaglia rischi, identifica priorità di investimenti target (non solo liquidità ma anche infrastrutture: la banda larga è prerogativa di pochi in Italia, a differenza del resto d'Europa). E riferisce quei pochi, pochissimi passi in avanti che compie nei palazzi l'operazione. La carenza di strumenti sul lato dell'offerta e' il problema maggiore; i maligni e gli sconfortati riferiscono che la crisi passera' prima che l'operazione prenda il via. La possibilità che il risparmio concorra alla ripresa economica come succedaneo alla liquidità bancaria, non pare pero' al centro dei favori dei risparmiatori. Interpellati di recente sulla natura e la finalità dei loro accantonamenti, nel test lanciato sul sito web del Sole 24 Ore in occasione della Giornata Mondiale del Risparmio, i lettori (oltre 7500 lettori) hanno risposto in modo inequivocabile alla domanda riguardante la destinazione prioritaria del risparmio: come naturale, il 70% considera solo le proprie esigenze personali o familiari, mentre il 17,7% considera favorevolmente la possibilità che una parte dei propri risparmi vada a premiare chi adotta comportamenti economici sostenibili e respinsabili. Molto più bassa invece la considerazione che attira la chance offerta dalla possibilità di destinare parte del risparmio alla ripresa economica del paese: il 5,7% dei rispondenti; ancora più basso il favore incontrato dal proprio territorio, come target di utilizzo dei salvadanai di famiglia. La discrasia tra la disponibilità di quasi un risparmiatore su sette di mettere a fattor comune il proprio risparmio secondo criteri "etici" e la scarsa considerazione per la partecipazione attiva al destino economico nazionale, la dice lunga sul credito di chi interpreta politicamente queste esigenza. Una diffidenza che non riguarda il principio, ma piuttosto per la scarsa capacita' di individuare soluzioni appetibili per gli investitori. E che conferma quella degli investitori istituzionali, cui viene detto di destinare quote del loro (?) portafoglio al rilancio dell'economia nazionale; dimenticando magari che un terzo circa del portafoglio dei fondi pensione e un quarto di quello degli enti previdenziali è già investito in titolo di Stato italiani. Perchè il "come" non è indifferente: e non può metterne a rischio i portafogli.
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