Il tema della procrastinazione dilaga da mesi sulla stampa anglosassone sulle pagine dedicate alla previdenza. La tendenza perigliosa di rinviare l’adesione a strumenti di risparmio previdenziale viene sottolineata con diverse modalità, attingendo a piene mani dalla pubblicistica che ruota intorno ai temi della finanza comportamentale: rinunciare a due pinte di birra la settimana per destinarne l’ammontare a un fondo pensione, consente di cautelarsi dal rischio di una vecchiaia indigente (e di migliorare la propria salute), suggerisce il sito web del Nest, il programma che spinge gli inglesi a risparmiare per la pensione, svolgendo parallelamente un importante lavoro di educazione finanziaria mirata in particolare alla riduzione dell’indebitamento. Analogamente, negli Usa, il neo assunto al momento di firmare il suo contratto di lavoro riceve diversi opuscoli e pubblicazioni che lo sollecitano a non rinviare la sua adesione a uno strumento di benefit previdenziale; e le campagne per la sottoscrizione dei 401k, per chi non dispone di un fondo aziendale, sono numerose. Su queste pagine abbiamo registrato più volte i rischi connessi alla procrastination, l’ultima solo pochi mesi fa: rinviare l’adesione a un fondo pensione significa andare incontro a una pensione che si può ridurre anche di un quarto: aspettare cinque anni prima di iscriversi a uno strumento di previdenza complementare comporta un taglio del 5% della propria rendita e chi decide 15 anni dopo riduce la pensione di scorta a circa l’8 per cento.
I costi della procrastination sono anche sistemici: basti pensare a quanti anni ci sono voluti prima che il legislatore riformasse la tassazione sui fondi comuni, passata solo di recente sul realizzato invece che sul maturato. Nel frattempo l’industria del risparmio gestito italiana si è trasferita in Lussemburgo o in Irlanda e lì è rimasta anche dopo la riforma. Lì si fa la raccolta: 810 milioni di euro raccolti dagli azionari italiani (+50% delle masse), lo scorso anno mentre i fondi di diritto italiano vengono erosi nel loro patrimonio: -8% nel 2013, causa deflussi per 187 milioni. Al capitolo “costi della politica” va ascritta anche questa procrastination, che ha impedito al popolo con il più alto tasso e propensione di risparmio al mondo di creare un’industria sul proprio potenziale. L’auspicio è che l’annunciata riforma fiscale, con le aliquote al 26%, non renda più salato il conto per i risparmiatori.