I tecnici lo chiamano “rischio longevità”: si tratta in parole povere della difficoltà di calcolare per le grandi coorti di lavoratori il momento dell’estremo evento, in modo da calcolare il numero di anni che distanziano il decesso dal momento del pensionamento; un calcolo indispensabile per il sistema contributivo, in modo da calcolare (attraverso coefficienti di trasformazione di capitale in rendita) l’esatto ammontare dell’assegno pensionistico da erogare agli aventi diritto. Quando insieme arrivano quattro studi che sottolineano la difficoltà di governare il rischio di longevità, è giusto porsi dei quesiti. Eccoli riassunti qui di seguito:
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-11-11/nove-persone-10-vivranno-oltre-previsto-e-piu-loro-risparmi-e-loro-pensione-212430.shtml?uuid=ACc219XB&fromSearch
Se nove su 10 sbagliano i calcoli della pensione, significa che occorre essere più attenti. Basta dire: siate prudenti, risparmiate di più? No, ovviamente: il concetto di prudenza non significa adottare una strategia o un’altra; inoltre conta il quanto si risparmia ma anche e soprattutto il come. E si torna al concetto di prudenza. Qui si aprono mille dibattiti sul life-cycle e sulle strategie di portafoglio. Che non sono sufficienti a coprire del tutto il rischio longevità. E’ appena il caso di sottolineare che lo studio degli attuari di Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia indica chiaramente la sottostima del rischio da parte dei governi e dei singoli; una sottostima che a sua volta non considera un aspetto qualitativo: maggiore è la longevità, più alta sarà la necessità di supporto sanitario per i centenari (vedi alla voce Long Term Care). Certo, si creeranno nuovi posti di lavoro nel settore dell’assistenza. Ma questo Pil aggiuntivo non basterà certo a finanziare le cure. Per questo è il caso che si diano una mossa sia i governi che i singoli.