Non dite che ce l’ho con il sessantotto e i sessantottini. Anche se aver avuto 14 anni nel ’77 mi ha procurato molte motivazioni contro la generazione che ci aveva preceduto e che ci ha lasciato eredità pesanti. Avevo sepolto nella memoria tutte queste questioni (ormai lontane negli anni), quando le notizie sui vitalizi dei parlamentari e l’esiguità delle pensioni che si troverà chi lavora oggi, mi hanno riproposto questo conflitto generazionale. In materia pensionistica. E ciò mi fa frullare in mente una domanda; ma andiamo con ordine.
Il problema non riguarda certo solo gli ex sessantottini come Mario Capanna, nati negli anni subito la seconda guarra mondiale che a) hanno fatto in tempo a incassare una buona pensione, pari a circa il 75-80% dell’ultimo stipendio oppure b) hanno visto scendere il proprio vitalizio al 70%, se sfortunati; c) sono stati esodati, senza cioè né lavoro né pensione. Sono relativamente pochi ma ognuno ha patito dolorosamente questa condizione, anche se gli interventi dell’Esecutivo (onerosi per le casse dello Stato) hanno compensato la gran parte delle casistiche. Le prospettive per chi è al lavoro non è certo migliore: chi ha oggi quarant’anni va incontro al pensionamento una rendita pari a poco più della metà del suo stipendio. Grazie alla previdenza complementare, se aderisce subito, può aggiungerci un 10-15%. Chi incassa 2mila euro l’anno va incontro a una pensione di 1000 euro al mese, nella peggiore delle ipotesi, di 1400 euro circa nella migliore.
Ma la domanda che mi frulla in testa da qualche e giorno dall’inizio di questo articolo è: come può fare il lavoratore preso or ora ad esempio a incassare una pensione come quella di Mario Capanna? Facciamo due conti (insieme ad Alberto Cauzzi di Epheso, che ringrazio per il sostegno nell’elaborazione dei dati): un quarantenne di oggi, che versa contributi da 20 anni, che guadagna 1500 euro netti al mese e di cui possiamo prospettare una crescita salariale del 2% annua, potrà andare in pensione all’età di 65 anni e 10 mesi con la pensione anticipata, con un assegno pensionistico di circa 19.000 euro annui netti, circa 1450 euro al mese. Per aggiungere gli 20mila euro netti mancanti (totale 39mila euro annui pari a 3mila euro al mese per 13 mensilità) dovrebbe versare nella previdenza complementare (da domani) poco meno di 900 euro mese come contributo soggettivo (in aggiunta all’aziendale dell’1,5% e di tutto il tfr pari al 6,91%) sino alla scadenza della sua pensione.
Ricapitolando: chi guadagna 1500 euro al mese paga un’aliquota fiscale del 23% e quindi si deve privare di 345 euro al mese; in tasca restano 1.155 euro, 900 dei quali devono essere destinati a un fondo pensione .In tasca, per vivere, restano al nostro quarantenne che ambisce a incassare una pensione come quella di Mario Capanna, 255 euro. Il che significa 8,5 euro al giorno. Se tutto va bene.
Sì perchè, ovviamente, ci sono diversi “se” che mettono in discussione le prospettive di chi vive con 8,5 euro al giorno, tutto compreso. I calcoli rstano validi se nel futuro i mercati finanziari replicheranno l’andamento ipotizzato dall’autorità di vigilanza Covip nella definizione dei motori di calcolo: per la verità inferiore all’andamento delle Borse degli ultimi anni, ma ovviamente quando si stima l’andamento futuro medio si azzarda sempre una previsione, per quanto affidabile, passibile di variazione. L’altro grosso “se” riguarda la continuità contributiva: l’ambito traguardo capanniano sarà possibile al nostro 40enne se lavorerà nei prossimi 25 anni senza un giorno di disoccupazione. Solo a condizione di preservare contro tutto e contro tutti il famoso “posto fisso” inattaccabile. Insomma, se va tutto bene -a ma deve andare tutto bene – il nostro quarantenne si deve contentare di meno di 9 euro al giorno per vitto e alloggio (non credo ci siano margini per altro) per avere una pensione come quella di Mario Capanna. Un viottolo, una porta stretta, un sentiero tortuoso e irto di insidie si apre di fronte al nostro 40enne. Vedremo nel 2040 se il suo destino previdenziale sarà compiuto in base agli obiettivi. Quel che è certo è che una valida alternativa esiste: diventare un soggetto improduttivo, teso alla difesa degli interessi personale nelle sedi istituzionali, senza cura del bene pubblico, garantendosi il maggior numero e quantità di diritti acquisiti e lottare per difenderli. Insomma, diventare un politico.