«Il risparmio è la procrastinazione della morte: si risparmia per essere risparmiati. L’ho appreso da mio padre e lui dal suo, secondo la cultura contadina. Oggi però è cambiato tutto, persino il valore delle parole: allo sportello non c’è più qualcuno che ci dà consigli, ma un colletto bianco che ha un budget da rispettare con cui fregarti». Così Beppe Grillo illustrava in un’intervista a «Plus24» di fine del 2005, la mutazione “genetica” della finanza degli ultimi anni. All’epoca vigilava in Banca d’Italia Antonio Fazio e indicava criteri di finanza etica Cesare Geronzi dalla Banca di Roma, la bolla subprime era ancora di là da venire; il rischio dell’eccesso di debito era decisamente sottostimato. Ora che il comico genovese è diventato il leader della principale forza politica italiana, quelle parole risuonano quantomeno come profetiche. Profetico Grillo lo è stato proprio sul tema che ha fatto saltare la finanza internazionale, una mezza dozzina di paesi europei e gettato nella recessione Italia e buona parte dell’Eurozona. D’altronde il leader del M5S, due anni prima dell’esplosione della crisi subprime aveva focalizzato chiaramente il pericolo: «Viviamo in un incantesimo, i soldi non sono più reali per le necessità: ormai sono illusioni, sono debiti che crescono in maniera esponenziale per via degli interessi sul capitale e sugli interessi. Così la banca non si accontenta più dei tuoi soldi, vuole la tua vita. Dobbiamo ridefinire il concetto di banca. Quella che ha meno sofferenze è la Grameen Bank di Muhammad Yunus». Molti in questi giorni esprimono perplessità sulla attuabilità programma del Movimento 5 Stelle alla Camera e al Senato, la sua efficacia e soprattutto i suoi costi, guardando con il ciglio alzato la impreparazione di alcuni esponenti del M5S in materia economica. Così come l’approccio di Grillo alla finanza e al risparmio. Ma i suoi detrattori sono stati capaci di far di meglio negli anni passati sui mercati e alle urne alle recenti elezioni? Si prenda il caso della previdenza complementare: interessa poco perchè non rende a chi la vende o perchè chi la divulga non ha nessun interesse "sociale" a che la copertura sia maggiore. E' possibile che l'industria finanziaria – anche la finanza ad uso previdenziale – funzioni solo se c'è qualcuno che necessariamente ci perde? E' possibile che il lato offerta del mercato utilizzi l'antico adagio "conosci il tuo cliente" per soddisfare al meglio l'esigenze di quest'ultimo e non per rendere ancora più sbilanciate le asimmetrie informative (o come direbbe Grillo, per fregarlo). Tralasciando pure le liason pericolose tra politica e sistema bancario, è il caso di sottolineare che l’industria finanziaria deve dimostrare di essere in grado di essere efficiente per rendimento, volatilità, gestione del rischio, trasparenza e costi. In caso contrario, si rassegni alla sfiducia.
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