Perchè gli italiani vogliono “ancorare” le pensioni

La "messa in sicurezza" dei sistema previdenziale è un mantra che tecnici e politici ripetono ad ogni mini o maxi riforma. A ragione, visto che l’Italia ha una spesa previdenziale pari al 14% del Pil. Inevitabile, però, che restino quelle virgolette, a rendere sfocata la "sicurezza": perché del tutto sicuro nessun sistema può essere, sterilizzato da rischi esterni che possano impattare sui montanti previdenziali e sulle rendite erogate. L’idea stessa del "free risk" – peraltro pienamente smentito dalla crisi finanziaria – è sintomo di questa naturale predisposizione della mente umana. L’«ancoraggio» è studiato dalla finanza comportamentale per valutare le ragioni degli errori degli investitori; ma caratterizza anche le scelte di legislatori e Authority. I montanti contributivi, per esempio, si rivalutano in base alla media mobile del Pil nominale degli ultimi 5 anni; le rendite sono collegate, invece, all’inflazione. A cosa sarebbe giusto ancorare le pensioni di secondo pilastro? L’alto flusso di nuove adesioni ai comparti garantiti dei fondi pensione la dice lunga sull’orientamento degli italiani.
Che però deve fare i conti con ciò che la realtà ci sta dicendo: per esempio che le linee garantite non offrono più la replica della rivalutazione del Tfr, come invece avevano proposto nel 2007 all’entrata in vigore della nuova normativa, per soddisfare le esigenze dei lavoratori. Le convenzioni sono scadute e i rendimenti garantiti offerti da quelle nuove oscillano tra lo 0 e il 2% di minimo garantito. Per non parlare delle performance di periodo.
Qual è l’àncora giusta? In assenza di un portafoglio correlato all’inflazione (gli Etf inflation linked quotati sono tanti) o in assenza di un lifecycle semi-obbligatorio (adeguamento periodico del rischio di portafoglio a quello dell’aderente), l’unica libertà dell’iscritto è quella di sbagliare. La prudenza àncora anche le casse previdenziali: una normativa impone di accantonare il rendimento superiore a quanto previsto per l’equilibrio attuariale a 50 anni. A scapito però di ulteriori extrarendimenti e di ogni possibile intervento di Welfare che sostenga i professionisti colpiti dalla crisi.
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