Il dietrofront delle compagnie assicurative sui fondi pensione

Dovevano essere il territorio riservato quasi esclusivo delle compagnie assicurative. A cinque anni dalla riforma del Tfr, invece, gli assicuratori stanno sempre più arretrando dalla gestione delle linee garantite dei fondi pensione di categoria (gli aperti affidano in genere il mandato ad assicuratori del proprio gruppo o collegato), lasciando campo libero alle società di gestione del risparmio. Con qualche eccezione, ovviamente: perché se alcuni soggetti come Eurizon Vita hanno rinunciato a partecipare ai bandi, Unipol sta conquistando nuove fette di mercato in un comparto che vale 3,4 miliardi.

Le linee garantite sono state ideate in origine i lavoratori "silenti" esplicitando la volontà di destinare il proprio Tfr all’azienda o all’Inps (in caso di azienda con almeno 50 dipendenti). Per i fondi negoziali, questi comparti rappresentano una fetta importante: innanzitutto da un punto di vista quantitativo, visto che quei tre miliardi e mezzo rappresentano il 13,5% dei contributi versati ai fondi dai lavoratori; una tendenza in crescita rilevante dal 9% del 2008. Ma questi comparti sono rilevanti anche un punto di vista qualitativo: da sempre molti associano il concetto di pensione con quello di garanzia. Una garanzia che scatta, lo ricordiamo, per i casi indicati dalla normativa (pensionamento, premorienza, invalidità e disoccupazione per oltre 48 mesi, cui alcuni fondi aggiungono altri eventi) e garantisce il capitale versato o un rendimento minimo.

In cambio di costi in genere superiore a quelli degli altri comparti del fondo; la media per le linee garantite è dello 0,24% annuo, con un minimo di 11 e un massimo di 49 punti base. La garanzia della performance del Tfr (1,5% più 75% dell’inflazione) è stata sottoscritta da alcune compagnie a una dozzina di fondi, al varo della riforma. Ma al primo giro di rinnovi dei mandati questa performance è praticamente scomparsa: troppo costoso, per gli assicuratori, farsi carico di un rendimento di questa natura. La ragione sta nella difficoltà di capire, per le compagnie, a quanto ammonterà il capitale che le compagnie dovranno accantonare in ragione della Direttiva europea Solvency II. Livelli di assorbimento elevati potrebbero rivelarsi "improduttivi" per chi si fa carico di un rendimento così importante: tanto che, a una breve ricognizione, nessun comparto garantito ha ottenuto una performance superiore a quella del Tfr dal 2009 al 2011.

Oltre alle incertezze di Solvency II, i gestori "finanziari" sono riusciti a beneficiare anche del Regolamento della Banca d’Italia del 8 maggio 2012, che prevede per le Sgr possono offrire una garanzia di capitale a scadenza e per eventi – previo via libera di via Nazionale – dopo aver accantonato una riserva di capitale in linea con i livelli del Var del portafoglio gestito. Leva che Pioneer, per esempio ha utilizzato proficuamente negli ultimi tempi, tanto da conquistare diversi mandati; insieme a un altro elemento rilevante: la possibilità di riconoscere, oltre alla restituzione del capitale, un livello di valore quota ottenuto in un periodo precedente. Il che rappresenta un elemento abbastanza simile a quello che per le compagnie assicurative è il consolidamento dei consolidamento dei rendimenti passati.

Tutto bene dunque? Margini di miglioramento in ogni caso ci sono: «Dalle nostre simulazioni sui benchmark di alcune Sgr – dicono Silvio Bencini e Pasquale Merella di European Investment Consulting – emerge che un benchmark con un 95% obbligazionario governativo e 5% azionario ha meno del 25% di probabilità di battere il Tfr in un orizzonte di cinque anni. In sostanza c’è una sovrapposizione tra della scelta di un benchmark "prudente" con il risk control implicito nella garanzia».

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