Nonostante le oscillazioni di borsa che fanno venire il capogiro a chi vuole dalle pensioni stabilità; nonostante il numero ancora esiguo di aderenti; nonostante i mal di pancia che suscitano i dipendenti delle piccole e medie imprese quando decidono di destinare il loro Tfr alla previdenza complementare. Nonostante tutto ciò sentiremo parlare con attenzione dei fondi pensione nel 2011. Cresce infatti la percezione di quanto sia sempre più debole la copertura del primo pilastro previdenziale: la Banca d'Italia, pochi giorni fa, ha fatto sapere che quasi la metà degli italiani si aspetta una pensione inferiore al 60% dell'ultimo stipendio.
La giornata della previdenza che l'esecutivo sta preparando per la primavera intende proprio compiere un'opera di sensibilizzazione sulla necessità di un secondo pilastro pensionistico per proteggere il tenore di vita di chi va in pensione. Gli aderenti già mostrano di saper usare i fondi pensione per le necessità quotidiane: oltre che per una rendita, per ottenere anticipazioni prima casa, o per le spese mediche o per le ulteriori esigenze che la crisi economica impone alle famiglie. La stessa Banca d'Italia, d'altronde, calcola che a parità di reddito e anzianità professionale, il tasso di sostituzione tra ultimo stipendio e primo assegno pensionistico scenderà dal 70% di oggi al 52% nel 2040. Il sistema a contribuzione definita, introdotto negli anni 90, aumenta infatti la stabilità degli enti previdenziali pubblici, scaricando però sui lavoratori i rischi. Quali? Le rendite si riducono a causa dell'allungamento della vita media, ma pesa sulle pensioni di base anche la crisi economica: se il Pil scende come nel 2009 o è stagnante come nel 2010, i contributi si rivalutano con un moltiplicatore poco generoso.
Ma si sentirà parlare dei fondi pensione l'anno prossimo anche perché questi soggetti acquistano un peso «politico» crescente. Sono l'unico strumento di risparmio gestito che continua a registrare flussi positivi nonostante la crisi: circa 10 miliardi di euro di contributi entrano ogni anno in fondi negoziali, aperti e piani individuali previdenziali (Pip). Denaro investito sui mercati finanziari, per gran parte BTp e Bund tedeschi. Una quota non secondaria finisce sui mercati internazionali, in cui la quota del mercato italiano è risibile. Per questo si discute su come permettere ai fondi pensione di investire in aziende di casa. Tramite, magari, il Fondo di investimenti di Cassa depositi e prestiti (Cdp). I primi contatti sono già stati avviati; i fondi spingono in questa direzione, per lanciare un circolo virtuoso di investimenti sul territorio. Cdp frena per ragioni tecniche: ciò che si raccoglie va anche investito nei tempi prestabiliti, secondo rigorosi criteri di selezione: non si può incassare e tenere in cassaforte in attesa di "occasioni di mercato". Per i fondi pensione italiani, così come per le Casse previdenziali dei lavoratori autonomi, è l'occasione per rimarcare il proprio ruolo di investitori istituzionali sul mercato.
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