«Do you remember Tfr?»

Che fine ha fatto l’idea di un nuovo semestre di silenzio assenso sulla destinazione del Tfr, avanzata dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi

nel giugno scorso, in occasione della Relazione annuale Covip? Certo, era solo un’idea, espressa peraltro al condizionale (“Si potrebbe pensare….”). Certo è che già prima di questa idea, Sacconi si era espresso all’indomani del suo insediamento un anno e mezzo fa, a favore dell’introduzione di una serie di misure tese ad aumentare l’adesione ai fondi pensione: possibilità di ripensare la scelta di destinazione del Tfr e portabilità piena del contributo datoriale anche alle forme individuali; talvolta ha fatto anche capolino la possibilità di “rimodulare” la fiscalità, cioè di migliorarla, se non di aumentarla. Il tutto da discutere in occasione degli Stati Generali della previdenza, convocando tutti gli addetti ai lavori. Queste attese non si sono tradotte finora in pratica. Molte e gravi sono state le priorità che l’esecutivo ha dovuto affrontare; e anche l’estate ha contribuito a mettere nel freezer la materia. Nonostante sia palesemente insoddisfacente il livello di copertura previdenziale dei lavoratori italiani che si avvicinano al momento della pensione pericolosamente, visto che vanno incontro a riduzioni importanti delle loro entrate, quando smetteranno di lavorare. Si fatica tra l’altro a non notare cosa accade negli altri Paesi. Che ne direste se da domani le ferie non godute e gli straordinari non venissero pagati cash dai datori di lavoro ma venissero accreditati sui conti pensionistici di ciascun lavoratore? O se il Fisco rimborsasse non sui conti correnti degli italiani ma sul loro fondo pensione? Si scatenerebbe probabilmente una gara a gridare allo scippo del denaro degli individui privati del loro giusto, per fini oscuri e interessi di parte. Talmente impensabile, infatti, che nessuno si sogna di proporre ufficialmente un progetto di questa natura per spingere i lavoratori italiani verso i fondi pensione. E infatti tutte queste idee sono state tradotte in realtà negli StatiUniti dal Presidente Barack Obama, poche settimane fa. L’obiettivo è fronteggiare i pesanti effetti della crisi finanziaria sulla situazione previdenziale dei lavoratori statunitensi, che hanno perduto negli ultimi due anni circa 2mila miliardi di dollari sui propri conti previdenziali. In occasione dell’annuncio è emerso come attualmente non sono pochi lavoratori americani privi di copertura previdenziale: «La metà della forza lavoro – ha detto Obama – non ha accesso al piano di pensionamento presso l'azienda per cui lavora. E meno del dieci per cento di questi esclusi ha sottoscritto un piano individuale». Senza scomodare l’attivismo di Obama non costa nulla sperare che le idee e le proposte già presentati, si traducano almeno in discussione. Se non in realtà.