Per molti fondi pensione il 2008 si sta rivelando il primo anno di seria crisi di redditività, con risultati inferiori a quelli di Tfr, inflazione e alla stessa soglia di conservazione del capitale versato. Tra le proposte formulate per evitare la disaffezione degli aderenti è stata avanzata anche la possibilità di ripensamento e uscita dalla previdenza complementare, rendendo reversibile la scelta che il legislatore finora ha stabilito come non rivedibile in uscita. Tale opzione, nella prospettiva di lungo periodo della previdenza risulta poco efficiente. Infatti, nonostante le diverse crisi degli ultimi quindici anni, i mercati internazionali hanno mantenuto un trend crescente che giustifica, sul lungo termine, le volatilità di più breve periodo: da fine ’94 a marzo 2008 le azioni europee hanno reso il +10,1% medio annuo e le azioni mondiali in dollari hanno reso il +8,7%, sempre in media annua (+6,7% in euro a cambio aperto).
Quale sarebbe l’effetto di un ritorno dal fondo pensione al Tfr? Si consideri un fondo pensione-tipo 70% obbligazioni 30% azioni, nato a fine 1994. La redditività netta del fondo tra fine 1994 e fine marzo 2008 sarebbe stata (dopo tasse all’11% e commissioni di gestione allo 0,47%) del +5,8% medio annuo. Una regola tattica di stop-loss suggerirebbe il passaggio nel Tfr tra agosto 2001 e maggio 2003. L’investimento nel Tfr risulterebbe inizialmente premiante rispetto al fondo pensione.
Ma nell’arco dei successivi 18 mesi (giugno 2003-dicembre 2004) il fondo pensione vedrebbe recuperare completamente la posizione, vanificando l’uscita tattica. Se poi l’uscita tattica fosse avvenuta in un momento meno ottimale, il risultato sarebbe sempre peggiore per l’aderente uscito rispetto a quello rimasto nel fondo, senza benefici né a breve né a più lungo termine. L’introduzione della piena libertà di entrata/uscita tattica dai fondi pensione potrebbe quindi determinare una consistente perdita di benessere pensionistico. Cosa sarebbe successo se l’aderente avesse potuto optare per un’uscita strategica o definitiva dal fondo pensione? Immaginando uscite definitive dal fondo pensione al Tfr alla fine di ciascun anno pari, si nota che solo l’uscita del 2006 (e per un piccolo margine quella del 2000) presenta ancora una redditività differenziale accumulata superiore rispetto a quella ottenuta restando nel fondo pensione (vedi grafico in pagina).
Pressoché ogni momento di uscita sarebbe stato penalizzato dal successivo recupero delle quotazioni del fondo pensione. Sulla base di queste evidenze, la possibilità di uscita dal fondo pensione si tradurrebbe, nel medio-lungo periodo, in una perdita netta di montante previdenziale e di rendita pensionistica. Senza tener conto degli ulteriori vantaggi che rendono conveniente l’adesione: il contributo datoriale, i benefici fiscali, i minori costi rispetto ai prodotti finanziari e assicurativi offerti al dettaglio.
Riccardo Cesari, Ordinario di Matematica finanziaria presso l’Università di Bologna