Pare che le nuove, più favorevoli disposizioni per il riscatto del periodo del corso di laurea stiano destando grande interesse fra i lavoratori che hanno i requisiti per esercitarlo. Su «Plus24» di ieri sono stati illustrati alcuni calcoli che effettivamente dimostrano che, sotto certe ipotesi e sulla carta, il rendimento implicito delle somme versate è tutt’altro che disprezzabile e si preannuncia molto competitivo rispetto a quello dei fondi pensione che ne rappresentano la naturale alternativa.
Analizzando tutto questo interesse dal punto di vista della finanza comportamentale, nascono quattro riflessioni: 1) la solvibilità a lunghissimo termine dell’Inps – e quindi in ultima analisi dello Stato italiano – continua a essere percepita come molto elevata, nonostante il debito pubblico di 1.575 miliardi di euro, soprattutto, l’enorme deficit pensionistico; 2) c’è un numero imprecisato di lavoratori che pare non curarsi della pesantissima pressione contributiva già esistente, ed è disposto a versare ulteriori quattrini all’Inps su base volontaria; 3) sarebbe sorprendente verificare che quegli stessi lavoratori che hanno rifiutato di iscriversi ai fondi pensione perchè spaventati dai vincoli di lungo periodo ai quali sono sottoposti, riscatteranno entusiasticamente gli anni universitari (con meccanismi ancora più vincolanti dei fondi pensione!); 4) in generale, è ancor più sorprendente constatare che risparmiatori che, prudentemente, hanno orizzonti temporali di investimento che non superano i 12 mesi, sono disposti a rinunciare a somme consistenti per poterne fruire tra 20, 30 o 40 anni.
Quel che è certo è che i contributi versati dai lavoratori che riscattano gli anni della laurea servono a pagare le sproporzionate e precoci pensioni già in pagamento, essendo il sistema a ripartizione. A chi versa viene corrisposto un diritto in termini di maggior prestazione futura e/o di avvicinamento nel tempo della possibilità di fruire della stessa. La tradizione degli ultimi 15 anni in fatto di mantenimento delle promesse previdenziali da parte dei vari Governi che si sono succeduti è tutt’altro che confortante, ma chissà se anche questo particolare verrà tenuto presente da coloro i quali sono pronti a riscattare il periodo del corso di laurea. Se ciò non accade, è perchè ci vogliono decenni prima che parti consistenti del Paese diventino consapevoli del fatto che gli enti di previdenza non sono dei miracolosi moltiplicatori dei contributi.
Marco Liera