Chi festeggia (e chi no) i 50 anni del bancomat

È passato un po’ in sordina il 50esimo compleanno del bancomat, noto nel resto del mondo come Atm, distratti come eravamo dalle vicende delle banche venete. Ma l’anniversario è in effetti un’occasione ghiotta per riflettere sul processo di disintermediazione del risparmio e della finanza dei nostri giorni.
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Era il 27 giugno del 1967 quando a Londra si aprirono due tendine su un distributore automatico di banconote. Fu l’inizio di un processo che ha reso l’intervento umano meno indispensabile in alcuni passaggi chiave della filiera finanziaria. In quei giorni il mondo della musica (e non solo) veniva travolto dal ciclone di Sgt. Peppers Lonely Heart Club Band dei Beatles e quella buca che sputava banconote evocava figure mitiche e mitologiche: semidèi dorati che elargivano ricchezze ai loro devoti, cornucopie che gratificavano i fortunati con ricchezze immense, per non parlare del forziere di Paperon de’ Paperoni. Una tecnologia complessivamente abbastanza semplice rendeva possibile quello che fino ad allora era appena vagheggiato. E grazie a questa tecnologia si rendeva molto terreno e concreto ciò che fino ad allora era soltanto soggetto letterario o giù di lì. Un apparato tecnologico arcaico, se si pensa alla recente rivoluzione tecnologia, che ora ci permette di fare in pochi secondi bonifici dal nostro telefono verso tutte le direzioni del pianeta. Per non parlare delle tecnologie in divenire: le blockchain rappresentano opportunità finora nemmeno immaginate, a parte il caso bitcoin, in grado a loro volta di disintermediare ulteriormente il sistema bancario dall’operatività finanziaria.
Ma il tema è la differenza di passo della tecnologia e delle abitudini dei consumatori è rilevante: ancora oggi l’Italia è tra gli ultimi paesi dell’area euro per numero di operazioni allo sportello bancomat (davanti solo a Belgio e Spagna, con meno di un terzo dei prelievi dell’Irlanda), mentre l’importo medio dell’operazione di prelievo è quella più alta a livello continentale: 195 euro (dati Banca d’Italia relativi al 2015) contro gli 84 di Francia, i 131 di Germania. Insomma si preleva poco e solo quando necessario. Colpa dei costi alti, o della percezione dei costi alti, che negli anni hanno frenato la consuetudine alla disintermediazione tecnologica della propria finanza personale.
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Le abitudini degli italiani, si sa, cambiano a fatica: affacciati sul nostro passato fatichiamo ad affascinarci e sintonizzarci alle opportunità del presente. Il che diventa ancora meno agevole se entrano in gioco alcuni fattori: l’autocompiacimento delle banche locali che si dicono vicine al territorio, le strizzate d’occhio sui requisiti per gli affidamenti, l’agilità nell’adattare le regole a proprio uso. Fattori che hanno contribuito a portare Popolare di Vicenza, Veneto Banca e molti altri istituti “di provincia” (quasi) al capolinea. Ma mentre in molti restano arroccati ai propri rituali il mondo non aspetta e va avanti, rendendo sempre meno agevole il collateralismo tra autoreferenziale e autoassolutorio tra le banche e il loro contesto economico: la retorica del “piccolo è bello”, del credito di prossimità, dell’economia di relazione che vede impegnate molte risorse italiche è destinato a essere spazzato via dall’innovazione tecnologica che inevitabilmente si accompagna con la sempre crescente esigenza di ottenere trasparenza, efficienza, costi compressi. Cercare di resistere è abbastanza inutile. Lascio volentieri ai guru di professione le filippiche su quanto sia importante “governare il cambiamento e non subirlo”. Ci siamo capiti: se chiediamo al presente di considerarci occorre essere sintonizzati ad esso. Per avere una misura dell’italica resistenza al cambiamento basta osservare l’impaccio di molti consumatori poco avvezzi a far rifornimento di benzina al distributore automatico. Eppure da quel primo simbolico bancomat effigiato in una foto in bianco e nero è passato ben mezzo secolo: tocca a noi ora decidere se continuare a vivere in bianco e nero o passare al colore. Almeno prima che arrivi il 3d.
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  • arthemis |

    Probabilmente, nel nostro paese molti correntisti preferiscono prelevare i contanti che servono per la settimana, e continuare la usuale gestione ‘fisica’ delle transazioni, anziché pagare direttamente con bancomat i singoli acquisti o spezzettare i prelievi allo sportello. Bisognerebbe capire se i costi di prelievo su ATM non del proprio circuito da noi siano più alti che negli altri paesi.

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