A leggere i commenti sui social o ad ascoltare le discussione da talk show televisivo, l’Italia sarebbe fallita da tempo. In rete e sullo schermo la denuncia per la situazione economica del paese -evidentemente – attira click e ascolti. Il motivo è semplice: i guai altrui ci confortano e fanno sentire meno gravosi i nostri. Analisi massmediatica a parte, è lecito chiedersi se è davvero così. Dove trovare risposta? L’Istat o la strada? Il dato generale messo a punto da decine di professionisti dell’analisi economica o l’impressione che ricaviamo dall’osservazione del nostro contesto particolare? Secondo un’indagine OCSE del 2013, per il 43% degli italiani e’ improbo distinguere i due metodi. Tale infatti è la percentuale di “analfabetismo” tra i nostri connazionali, individui cioè che non sono in grado di elaborare analiticamente le informazioni e di formulare in autonomia una propria convinzione, a partire da quelle premesse. Quest’ultima, per quasi la metà della popolazione, scaturisce come una reazione non mediata e di fatto istintuale.
Naturale quindi che risulti difficile comprendere fenomeni complessi come la stagnazione secolare o il Qe. Incrociamo il dato con un altro, emerso da una recente indagine Eurisko sul risparmio e la consulenza: solo al’11% degli intervistati sanno che se scendono i tassi di interesse di un’obbligazione a cedola fissa, il suo prezzo sale (e viceversa). Ecco spiegato perché davvero pochi italiani si sono accorti che il loro patrimonio sia cresciuto più di quello di altri paesi europei: se n’è accorto di meno chi compra i BTp in asta e tiene il titolo a scadenza, di più chi invece ha sottoscritto fondi comuni e sottoscrive le obbligazioni governative sul mercato secondarie. La forte esposizione dei risparmiatori italiani per i titoli di Stato domestici rende dipendenti i salvadanai tricolore a questa dinamica.
Non stupisce quindi l’esito dell’Allianz Global Wealth Report, che nel suo report globale sulla ricchezza finanziaria relativo al 2015, registra un +4,3% di rendimento medio per gli asset finanziari degli italiani, contro il 3,6% dei francesi e il 2,3 per cento dei tedeschi. Un risultato di tutto rispetto, che però passa praticamente inosservato ai radar italiani. Si sa che incide molto di più nell’attenzione dei risparmiatori la cattiva notizia rispetto a quella buona. Ma è fondamentale correggere questa dissonanza cognitiva, per gestire in modo adeguato un portafoglio di investimento, o semplicemente i propri risparmi. Certo, l’indagine è ricca di spunti e altri sono meno positivi. Colpisce però il dato sullo stato di salute della classe media nazionale: Allianz registra come l’Italia sia il paese dove gli asset finanziari della middle class – il cui ruolo economico è decisivo per lo sviluppo e il benessere di una società – è la più alta al mondo con il 50% del totale della ricchezza nazionale. Molto più del 22% degli Stati Uniti. Lo scriviamo sui social?