Gran consulto lunedì pomeriggio in Covip, in vista della relazione annuale del 24 giugno prossimo. Con i fondi e i gestori si parlerà del rallentamento delle adesioni e dei rendimenti negativi dei fondi in questi mesi. Nei corridoi della commissione trapela una certa preoccupazione: dieci negoziali su 42 vedono diminuire gli iscritti nel primo trimestre dell’anno, anche se complessivamente il saldo è positivo di 27mila unità (+2,1% sul 2007).
Certo, il silenzio in materia del nuovo Governo non aiuta e il rischio dell’oblìo per le pensioni di scorta appare concreto. Il presidente di Covip Luigi Scimìa attende proposte; se al capitolo incentivi la lista delle proposte è lunga, lo stesso non si può dire del capitolo crisi dei rendimenti: i più la giudicano inevitabile, visto l’andamento dei mercati (Piazza Affari perde il 13% da inizio anno e il 23% a 12 mesi). Cosa diranno a Scimìa i direttori dei fondi? Due le scuole di pensiero: da una parte c’è chi mostra poca preoccupazione per i ribassi, considerandoli occasioni di acquisto che frutteranno negli anni e decenni a venire. C’è anche chi vuole sostituire in parte le commissioni di gestione con quelle di performance, mossa gradita da Covip.
Altri vogliono ridurre l’aleatorietà delle gestioni introducendo, ad esempio, benchmark correlati all’inflazione o spingendo le linee garantite, Tfr-linked. Visto due passi indietro, pare un deja vu degli schemi a prestazione definita, che rendono meno quando gli indici salgono ma evitano di scaricare sull’aderente tutto il rischio finanziario. Questo schema è stato soppiantato in Italia prima e nel resto d’Europa poi (con poche eccezioni) da diversi anni, vista la maggiore trasparenza dei costi e degli asset utilizzati nei sistemi a contribuzione definita. È un caso che non vi fossero tracce di questa resipiscenza tre anni fa, quando i negoziali crescevano in media oltre il 7% annuo? Non si rischia di rincorrere i trend di Borsa? Come fa l’investitore che cambia strategia a seconda del mutare delle stagioni finanziarie. Il professor Ruggero Bertelli ha applicato la finanza comportamentale alle scelte dei risparmiatori italiani dell’ultimo decennio. Seguendo le mode finanziarie, i risparmiatori italiani hanno visto la propria ricchezza investita praticamente invariata. Se nello stesso periodo non avessero mai venduto le proprie quote, oggi il loro denaro sarebbe cresciuto del 150%. E se ogni volta avessero fatto la scelta opposta a ciò che l’emotività indicava (comprare invece che vendere e viceversa), il rialzo sarebbe stato del 250%. Come spiegato nel libro «Why smart people make big money mistake».