Di fatto, è una finestra che si apre per indirizzare i lavoratori dai fondi di categoria a quelli aperti. Per questi ultimi, rappresenta un’opportunità di raccogliere molti iscritti sottraendoli ai negoziali. Che nel frattempo alzano la voce. Questi sono gli effetti della risposta della Covip, commissione di vigilanza sui fondi pensione, resa nota nei giorni scorsi in risposta ad un quesito interpretativo sull’articolo 14, comma 6 del decreto legislativo 5 dicembre 2005 n. 252, in tema di portabilità della posizione previdenziale. La norma stabilisce che dopo due anni di permanenza in un fondo pensione, un lavoratore può trasferire la sua posizione (lo stock contributivo versato fino a quel momento) a un’altra forma previdenziale. Il dubbio interpretativo nasceva dalla possibile sovrapposizione tra accordi negoziali: a livello di contratto di lavoro nazionale (fondi di categoria) e a livello aziendale (fondi aperti). La Vigilanza ora stabilisce che il lavoratore aderente a un fondo negoziale può interrompere i contributi in essere (Tfr, volontario e datoriale) e iniziare a versarli ad un fondo pensione aperto, nel caso in cui questo stipuli con l’azienda e i rappresentanti sindacali «accordi collettivi aziendali ovvero accordi plurimi di adesione a fondi aperti», secondo la definizione dell’Authority. Le reti distributive bancarie e assicurative sono particolarmente impegnate nel raccogliere adesioni tra chi attualmente destina il Tfr in azienda o al Fondo Tesoreria (se lavora in aziende con oltre 49 dipendenti); cercando di conquistare anche gli aderenti ai negoziali. Negli ultimi mesi non sono mancate polemiche sulle modalità con cui promotori finanziari e agenti assicurativi hanno registrato nuove iscrizioni, tanto da spingere la Covip a chiedere alle parti delucidazioni sul loro operato (vedi «Plus24» di sabato scorso). Il parere Covip ha l’effetto di dividere provvisoriamente i contributi previdenziali del lavoratore che decide di passare da un negoziale a un aperto, in presenza di accordo aziendale. Da una parte lo stock maturato nel negoziale, dall’altra i contributi nell’aperto; in attesa che trascorsi i due anni, decaduto il vincolo di permanenza biennale nel fondo, scatti la portabilità e dunque la "ricongiunzione" dei contributi. Una competizione di mercato stabilita dalla normativa che pone sullo stesso piano forme collettive, forme individuali e forme anche se individuali possono comportarsi come collettive, beneficiando del contributo del datore di lavoro alla posizione del lavoratore (che segue esclusivamente l’accordo collettivo di categoria o aziendale). Ma i fondi negoziali non restano a guardare: in una lettera a Covip, Assofondipensione ricordano il rischio di generare una pluralità di posizioni inefficienti presso diverse forme pensionistiche. Con un’«inutile e gravosa duplicazione di oneri e di costi in capo al lavoratore in presenza di montanti irrilevanti». Per non parlare delle difficoltà burocratiche cui vanno incontro gli uffici del personale: a gestire per ciascun aderente, posizioni "congelate" nei fondi di categoria e posizioni attive in quelli aperti. Paradossale una delle conseguenze sottolineate da Assofondipensione: «La quasi totalità dei nostri associati – si legge nella lettera – ha previsto che il cambio comparto sia possibile non prima di 12 mesi dal precedente; apparirebbe più facile cambiare fondo che comparto». Complice la difficoltà interpretativa della materia, riconosciuta anche dalla Covip, l’associazione dei fondi negoziali confida in un ulteriore intervento da parte della commissione di vigilanza, che socchiuda quella finestra aperta dal recente parere.
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