Prima le brutte notizie: per andare in pensione, bene che vada, con l’80% dell’ultimo stipendio – che ottiene chi lascia il lavoro oggi –, faremo una gran fatica, rischieremo di sbagliare, useremo tutto il Tfr e anche una fetta, in molti casi consistente, delle nostre entrate. Obiettivo che può spaventare chi è abituato a delegare tutto allo Stato. In realtà alla portata di chi raccoglie l’invito a prendere in mano il proprio futuro previdenziale. L’elaborazione messa a punto da Mefop con la collaborazione tecnica di Epheso, evidenzia i passaggi chiave per compiere i passi giusti per garantirsi una vecchiaia decorosa.
Primo: focalizzare il profilo anagrafico e professionale, poi il tasso di copertura tra ultimo stipendio e primo assegno pensionistico (netto su netto); quindi è stato calcolato l’apporto della pensione di scorta in caso di conferimento del Tfr. E anche di un contributo aggiuntivo, necessario per raggiungere la fatidica quota 80. Ma c’è di più: un modo efficiente per recuperare questa soglia è lavorare di più.
La fatica delle donne
Rinviare il pensionamento garantisce infatti una pensione pubblica maggiore anche oltre il 10%. Certo, non è semplice convincere chi è vicino al traguardo finale, a fare un altro giro di pista. Ed è vero che soprattutto in fasi di crisi, si prepensiona per ridurre i costi aziendali. Quanto il tema sia caldo è evidente dal recente dibattito sull’innalzamento dell’età pensionistica delle lavoratrici della pubblica amministrazione. Sono infatti le donne i soggetti più penalizzati in prospettiva: rispetto ai pari età maschi avranno una pensione pubblica inferiore del 5% circa e privata dell’1,5% circa. E soprattutto dovranno metter mano al proprio portafoglio in proporzioni spesso vistose per ottenere risultati confrontabili. La causa? La maggiore aspettativa di vita delle donne rispetto agli uomini.
La leva finanziaria
Qui è stata presa in esame una gestione bilanciata molto semplice e tradizionale: 30% in azioni e 70% in obbligazioni. Non è certo concluso il dibattito su quale sia il modo migliore di gestire i fondi pensione: esponendosi all’equity risk nel lungo periodo o puntando a titoli legati all’inflazione. Vero è che un calo medio dell’8% nel corso del 2008 non è sufficiente per decretare la fine dei fondi pensione. Infatti – e qui veniamo alle notizia più liete – si registrano negli ultimi mesi segnali di recupero: nel primo semestre del 2009 i rendimenti sono saliti del 2,83% per i negoziali e del 2,7% per gli aperti.
La sfida con i benchmark
Dai dati raccolti da Assofondipensione, l’associazione che raccoglie le strutture negoziali, l’indice di riferimento medio è stato del 2,67%, sotto il risultato delle gestioni.
Scarica DATI DEFINITIVI 1° semestre 2009
Alta è la quota di comparti dei negoziali che hanno battuto il benchmark: il 57% del totale. Oltre una gestione su due, quindi, ha ottenuto un’overperformance rispetto all’indicazione data a priori. Nel dettaglio c’è da registrare l’en plein di alcuni fondi come Cooperlavoro, Fondapi, Gommaplastica, Solidarietà Veneto, che nel semestre registrano performances migliori al benchmark per tutte le linee; Fopen (gruppo Enel) in cinque casi su sei, mentre Cometa e Fonchim in tre su quattro. Bene il comparto Moneta dei chimici (+3,58% contro l’1,7% del benchmark), grazie al rimbalzo dei corporate bancari, al centro di polemiche causa la forte esposizione a un settore particolarmente penalizzato negli ultimi due anni di mercato. «Ad una fase di riduzione del rischio di portafoglio – fa sapere Assofondipensione – concordata con i gestori finanziari e tempestivamente avviata sin dal primo manifestarsi della crisi, senza peraltro alterare il profilo rischio/rendimento dei comparti di investimento, è seguito un prudente e moderato rientro sul mercato azionario finalizzato a cogliere i positivi segnali del primo semestre».
E tra gli aperti, ben 27 fanno meglio della migliore linea dei negoziali.
I picchi negativi
Non tutto soddisfa: tra gli aperti si registrano ben 16 linee in territorio negativo, sia azionarie che bilanciate che obbligazionarie o garantite. Indice che negli ultimi sei mesi questi gestori hanno preso scommesse nè beneficiate dalla buona performance dei titoli di Stato nella prima fase, nè dal rally dei mercati azionari nel secondo trimestre. E il Tfr? Per i cultori del confronto tra la rivalutazione del trattamento di fine rapporto e la media delle gestioni previdenziali, c’è da dire che nel primo semestre dell’anno si è rivalutato dello 0,9% e quindi nettamente battuto dalla quasi totalità dei negoziali e dai 6/7 degli aperti.