Spero che nessuno se ne abbia a male o che, addirittura, si senta tradito. Però questa cosa la voglio dire: il confronto tra i rendimenti dei fondi pensione e la rivalutazione del Tfr non mi appassiona. Non mi appassiona più di altri confronti che in modo meno continuo e costante seguiamo. Il perchè di questo calo interesse? Le ragioni son molte e mi si sommano tra le dita mentre digitavo l'altro giorno sulla tastiera l'articolo pubblicato online con i dati al 30 settembre scorso (e così immagino sia per gli altri giornalisti che si occupano della materia). Ebbene sì, ammetto che in parte pesano gli anni trascorsi a tenere sotto controllo trimestre dopo trimestre i numeri.
Ma in definitiva ci tengo a dire ai lettori quali sono le ragioni per cui questo confronto oggi lascia il tempo che trova: perchè si tratta innanzitutto di meccanismi di rivalutazione molto differenti tra loro dal punto di vista tecnico; da una parte c'è una gestione finanziaria dall'altra una rivalutazione, le modalità sono differenti e gli ammontari (spesso) anche.
In definitiva il confronto aveva un interesse rilevante quando si poneva per oltre 12 milioni di lavoratori l'ònere della decisione sulla destinazione del Tfr; come sappiano solo il 25% ha deciso di destinare a un fondo pensione il proprio trattamento di fine rapporto. I lavoratori hanno oggi altri problemi: l'utilizzo dei fondi stessi come ammortizzatore sociale per fronteggiare la crisi: in particolare le anticipazioni per "altre motivazioni" rispetto all'acquisto prima casa e spese mediche, previste dalla norma (che la normativa su Tfr non prevede). Inoltre il confronto "time weighted" è meno importante di quello "money weighted", basato cioè sui soldi veri che l'aderente vede movimentati sul proprio conto previdenziale. In questo caso la gara tra fondi pensioe e Tfr vede perdente quest'ultimo ancor più nettamente.
Basta? No: da anni i mercati finanziari hanno soffiato vento in poppa alle gestioni previdenziali e inevitabilmente un tasso di rivalutazione nemmeno troppo basso come quello del Tfr (1,5% più il 75% dell'inflazione) ha mostrato la corda davanti alle performance dei mercati azionari o anche dei BTp, saliti nel 2012 di oltre il 15%. Ci saranno anni in cui cambierà la tendenza e vincerà il Tfr (l'ho detto, è chiaro?), ma nel lungo termine le scelte prudenziali sono meno remunerative rispetto a quelle più rischiose: nonostante la crisi dei mercati finanziari e i vaticini sulla fine delle Borse non è stato smentito per davvero l'assioma dell'equity premium, ossia dle maggior premio al rischio che le azioni hanno nei confronti dei titoli di Stato.
Ciò detto è che è interessante monitorare invece le modalità di gestione delle linee garantite, che nei primi anni hanno replicato il Tfr: scadute le convenzioni, i nuovi mandati sono stati siglati con altri benchmark, decisamente meno remunerativi; mosse comprensibili, visto che l'inflazione (o il pressing della deflazione latente) rasenta l'1%.
Però: mai dire mai, ovviamente, e soprattutto c'è un punto fondamentale da preservare e curare ed è il calcolo di convenienza: elemento di base dell'informazione di servizio, consumeristica finanziaria assicurativa o previdenziale, sta alla base di un corretto processo di decisione da parte degli utenti. Imparare a scegliere è elemento fondante della propria cittadinanza economica: saper scegliere significa interagire come soggetto attivo del mercato, punendo o premiando i soggetti e determinandone le politiche. E' il grande tema di quella che un po' grossolanamente cade sotto la categoria dell'etica. Ma questa è un'altra storia.