Due o tre cose che so sull’anticiclicità del risparmio (e sul ruolo del Fisco)

Contrariamente a quanto sostenuto in alcuni convegni e dibattiti tv, la propensione al risparmio e’ inversamente proporzionale al ciclo economico. Migliore cioè e’ l’andamento dell’economia, soprattutto percepita, minore sara’ la quota di risparmiatori pronti ad accantonare parte delle loro entrate. Il dato e’ ovviamente frutto della media dei comportamenti di soggetti molto eterogenei, passibile di variazione nel tempo e all’interno del territorio nazionale; ma e’ difficile negare che in Italia il risparmio sia radicato come una risorsa da coltivare nel tempo, in vista di emergenze future. Di recente diverse rilevazioni confermano l’anticiclicita’ della propensione al risparmio. Come testimoniato su queste pagine, la quota di italiani che accantonano parte del proprio reddito e’ salita dal 51 del 2007 al 61% nel 2013 (e per una percentuale delle entrate sostanzialmente invariata); il dato e’ sceso al 59% successivamente e interpretato dai ricercatori del Centro Einaudi e Intesa Sanpaolo come un segnale di ripresa.
A questi dati si aggiunge quello che riguarda l’utilizzo degli 80 euro di Bonus Irpef ricevuto da chi ha un reddito sotto i 24mila euro annui. Le prime anticipazioni del sondaggio realizzato tra i lettori del sito web del Sole 24 Ore (nei prossimi giorni l’analisi completa dei dati) mettono a confronto i comportamenti di chi ha incassato il Bonus e quelli, ipotetici, di chi non li ha avuti. Il 75% del primo campione conferma di averli accantonati in liquidità “per ogni evenienza”, contro il 56% del secondo campione, i quali mostrano invece una maggiore capacita’ di pianificare e gestire i rischi (31 contro 18%). Una differenza rilevante, che aggiunge alla correlazione inversa tra propensione al risparmio e ciclo economico, quella con la disponibilità economica: chi meno guadagna e’ più prudente. Non e’ sempre una scelta coerente con le esigenze dei singoli, spesso non guidati da una consulenza adeguata, ma questo e’ il dato. Il tema può non sorprendere finche’ non entra in scena il Fisco: con l’aumento al 26% dell’aliquota sulle plusvalenze finanziarie e all’11,5% quella sulle performance annue dei fondi pensione, si penalizzano sia le scelte più prudenti – dai conti correnti a quelli di deposito – sia quelli di orizzonte lungo, salvando i BTp e il loro ruolo per pagare gli interessi sul debito. Il Fisco considera cosi’ il risparmio come fosse una base imponibile: sottraendo porzioni di futuro per le necessita’ correnti. Come fosse un bene di consumo – uno smartphone o una pizza – con scarsa considerazione per la sua natura e per il suo ruolo, nelle tasche degli italiani di oggi e di domani.
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