Previdenza a lezione di inglese (e di umiltà) per non invecchiare in povertà

A volte è bene avere l’umiltà di capire come è possibile cambiare il mondo. O quanto meno le mentalità. Basti pensare al progetto Nest, messo in campo nel 2010 dal governo britannico per innalzare il livello di risparmio – e in particolare di risparmio previdenziale – dei sudditi di Sua Maestà, di solito propensi ai consumi e all’indebitamento e poco alla cura del salvadanaio. Lo scopo del Nest (in inglese “nido” e acronimo di National Employment Savings Trust) è invertire una tendenza che rischiava di creare in pochi decenni ampie fasce di popolazione in stato indigenza. Un progetto molto simile a quello messo in campo in Italia nel 2007: Oltremanica con l’autoenrollment, nel Belpaese con il silenzio assenso. Sappiamo come è andata qui da noi: una certa crescita delle adesioni a ridosso del semestre, poi nulla più; molte adesioni di strumenti individuali e molte interruzioni di versamenti. Totale? Scarsa consapevolezza dei rischi demografici e previdenziali, versamenti poco coerenti con le esigenze di avere una seconda rendita, disinteresse da parte della politica che anzi alza la tassazione e chiede vincoli di portafoglio. Di tutt’altro tenore il bilancio di un anno e mezzo del Nest: adesioni al 53% (46% a fine 2013), conti previdenziali medi in crescita a 33.678 sterline (dai 29mila), calo della quota di chi prevede che non potrà aderire al 59% dal 68%, versamenti in aumento dal 9,7 all’11,6% del reddito, secondo un recente sondaggio di Scottish Widows. I problemi restano: un terzo degli inglesi non ha idea dell’ammontare della sua futura pensione. Ma di certo molto è cambiato: i britons hanno imparato a rinunciare a un paio di birre pur di avere una vecchiaia più serena. Perché l’operazione inglese è riuscita e quella italiana no? Di certo la possibilità di recedere dall’adesione ma soprattutto un’attenta campagna di educazione finanziaria e previdenziale che insieme alla crisi finanziaria ha modificato la mentalità degli inglesi.
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