L’encomiabile lavoro sulla financial literacy degli italiani e dei cittadini degli altri Paesi Ocse, pubblicato nei giorni scorsi, rappresenta una base dati assolutamente rilevante per comprendere il livello di competenza in materia finanziaria dei cittadini dei diversi Paesi. L’indice globale di competenza finanziaria è stato elaborato da un team guidato dal professor Pippo Ranci e composto da docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dell’Università degli Studi di Milano Bicocca e dell’Invalsi, in collaborazione con il Consorzio PattiChiari. Ma si tratta anche – e soprattutto – dell’occasione per rappresentare le distorsioni dei risparmiatori, cui mettere mano in occasione degli “interventi” in materia di educazione finanziaria. Per l’Italia, così come per altri paesi Ocse analizzati. I tre sottoindici dell’indice globale di competenza finanziaria forniscono infatti risultati spesso non coerenti. Prendete il tema inflazione: il 63% degli italiani ha ben presente il meccanismo inflattivo, ma solo il 33% sa calcolare correttamente gli interessi maturati in un anno. Analogo il discorso sulla capacità di effettuare calcoli di convenienza in base alle proprie disponibilità: oltre l’80% degli italiani dice di considerare attentamente l’impegno finanziario in relazione alla propria capacità di spesa, ma meno di un terzo (il 30%) è in grado di porsi obiettivi finanziari a lungo termine e di impegnarsi per poterli raggiungere.
Una “miopia” finanziaria che ha radici antiche: lo Stato-mamma che provvede alle necessità economiche e finanziarie dell’individuo, dalla scuola alla tomba. Una tara ancor più evidente quando in gioco c’è la previdenza: ben il 62,1% ritiene che sia necessario iniziare a pensare alla propria pensione tra i 18 e i 24 anni. Un proposito che cozza con il tasso di adesione a strumenti di previdenza complementare pari al 15% tra gli under 35, e ancora più basso tra gli under 24, secondo quanto registrato settimana scorsa da Covip. Quote cui aggiungere chi risparmia in altre forme: immobili, gestioni patrimoniali e altro; scelte che però nella stragrande maggioranza dei casi non sono frutto di una pianificazione finalizzata a un obiettivo reddituale e temporale, che l’educazione finanziaria dovrebbe insegnare. La «autorappresentazione» dei rispondenti a questa indagine gioca brutti scherzi statistici: e la dice lunga sul condizionamento culturale, familiare e di genere sulle competenze dell’individuo. Ed è questo il terreno in cui intervenire, per aumentare la cultura finanziaria degli italiani.