Azioni e obbligazioni non bastano più: per garantire pensioni soddisfacenti ai propri aderenti, anche il Norwegian Pension fund ora guarda alle infrastrutture, alle obbligazioni indicizzati all’inflazione e al real estate. Anche il maggior possessore europeo di titoli azionari – tradizionalmente scettico ad investire in titoli non liquidi – ha deciso di compiere il grande salto inserendo in portafoglio strumenti decorrelati dall’andamento dei mercati (o almeno potenzialmente tali). E lo fa non con una generica attenzione alle “occasioni” che si presentano sul mercato, ma tramite l’istituzione di unl Strategy Council, un comitato strategico di quattro consulenti esterni di primo livello (guidati da Elroy Dimson, professore emerito in finanza alla London Business School), che entro il 1° dicembre dovrà mettere a punto la strategia norvegese di lungo termine in questi comparti.
Il fondo pensione di Oslo è il secondo fondo sovrano al mondo per dimensione con circa 500 miliardi di euro in portafoglio, provento dei ricavi ottenuti dalla vendita di petrolio, di cui il paese è il quarto produttore a livello globale. Il Norwegian Pension fund è il maggiore proprietario di azioni in Europa. Al momento investe il 60% degli asset in azioni, un 35% in obbligazioni e il restante 5% direttamente in immobili.
Il tema dell’allargamento del novero degli asset investibili ricorre di frequente tra le ricette post-crisi a disposizione dei fondi pensione: quelli statunitensi sono sempre più interessati ad esempio alle infrastrutture, tanto che il 38% di loro considera di investirvi nei prossimi due anni: nella convinzione che i rendimenti netti, riferisce un recente sondaggio, saliranno dell’ordine del 10-15% nei prossimi tre anni. A confermare le alte aspettative, il recente piano infrastrutturale lanciato dal Presidente Usa Barack Obama che prevede 50 miliardi di investimenti nei prossimi sei anni.
Una ricetta che dunque convince molti, ma che però in Italia non è attuabile: il decreto che stabilisce criteri e limiti di investimento dei fondi pensione italiani è fermo al 1996 e prevede il sostanziale divieto di utilizzare strumenti non liquidi come fondi hedge, fondi immobiliari, oltre a porre forti limiti agli investimenti nei paesi emergenti. Da anni il sistema aspetta una modifica del decreto: per tre volte si è tentata una riforma, naufragata l’ultima volta in occasione della crisi finanziaria del 2008: sdoganare gli hedge fund nella previdenza appariva politicamente poco spendibile. Quando ciò accadrà vorrà dire che una svolta epocale sarà compiuta.
@RIPRODUZIONE RISERVATA