La copertura previdenziale dei lavoratori italiani è – com’è noto – particolarmente bassa: solo il 30% circa dei lavoratori dipendenti privati italiani può contare su una pensione di scorta. Ma a legger bene nelle pieghe della Relazione Covip per il 2008, emerge una realtà molto meno tranquillizzante: dei 4,9 milioni di aderenti ad una forma previdenziale ben 520mila iscritti non versano un euro; quasi la metà di costoro è iscritta a un fondo aperto, circa un quarto a un Pip e la restante parte a negoziali e preesistenti. Ma il caso più paradossale riguarda gli aderenti ai «vecchi» Pip: al 31/12/2008 risultavano iscritti a questa tipologia di strumenti previdenziali, nati prima dell’ultima riforma, 674.332 soggetti, 29.068 in meno rispetto alla fine del 2007. Calati gli iscritti, nell’ultimo anno è calato anche il patrimonio, da 4,7 a 4,63 miliardi di euro: il che significa che anche in questo caso i versamenti si sono interrotti, se non per tutti, per una parte decisamente maggioritaria. Una zattera previdenziale alla deriva, quella degli iscritti ai vecchi Pip: sono i piani individuali pensionistici nati prima dell’introduzione della riforma Maroni (252/2005), vigilati e autorizzati dall’Isvap e con caratteristiche diverse dai nuovi Pip. Questi ultimi, vigilati e autorizzati dalla Covip, presentano costi superiori a fondi negoziali e aperti ma comunque inferiori a quelli dei vecchi Pip. Soprattutto in termini di struttura delle commissioni: queste non venivano "spalmate" in modo uniforme come prelievo su ciascun versamento, ma sui primi venivano aumentate fin’oltre il 90%, vincolando di fatto l’aderente a non poter trasferire altrove la propria posizione previdenziale. Al varo della riforma, assumendo la vigilanza sui soggetti emittenti di questi strumenti, la Covip ha compiuto un forte pressing sulle compagnie assicurative per avvicinare i costi alle altre forme. Ma a disincentivare l’abbandono dei vecchi Pip (tutt’ora sotto il controllo Isvap) la decisione del Ministero dell’Economia di estendere la deducibilità fiscale anche a queste vecchie forme previdenziali; decisione cui la stessa Covip aveva dato parere favorevole. Al netto di qualche possibile, ma limitata duplicazione, quasi 1,2 milioni di iscritti aderiscono solo «pro forma» alla previdenza complementare: e nei prossimi anni, quando smetteranno di lavorare, non porteranno a casa un granchè. Ma ci sono poi altri "sotto tutelati": quasi 130mila aderenti destinano al proprio fondo pensione una cifra irrisoria, molto lontana da quanto sarebbe indicato per supportare una sempre più bassa pensione pubblica. Per non parlare di coloro che aderiscono a comparti non in linea con il loro profilo di rischio (secondo Covip il 40% degli aderenti ai negoziali e il 50% agli aperti). D’altronde, il lato debole della previdenza complementare è la carenza in materia di consulenza: solo dal 2010 (salvo contrattempi) arriverà ai lavoratori italiani una informazione prospettiva con quanto percepiranno di pensione di primo e di secondo pilastro. A conti fatti chi compie la scelta previdenziale giusta è un’eccezione, più che la regola.
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