Bce, debiti e quell’occasione perduta (perché ora è finita la pacchia)

Negli ultimi giorni si è discusso molto sul web del ruolo delle banche centrali e del Quntitative easing. Come spesso accade, soprattutto suo social, presto presto i toni si sono accesi, mettendo da parte il merito della questione per lasciare spazio a qualcosa di simile a un tifo da stadio. Sono rimasto colpito dalle numerose richieste che ho ricevuto di spiegare con chi si indebita la Bce quando acquista titoli di Stato sui mercati, tema lanciato in alcune trasmissioni televisive. Colpito perché su Twitter gli utenti preferiscono il passa parol invece d8 andare attivamente ad informarsi su una materia così articolata che non può essere affrontata nei 280 caratteri di Twitter. E allora ho provato a buttare giù qualche riga in più per aiutare a capire come funziona la politica monetaria in Europa. 

 

“Con chi si indebita la Bce quando acquista titoli di Stato?”. Il presupposto è errato, la banca centrale di fatto stampa moneta. Il QE della Bce, che è uno strumento di politica monetaria non convenzionale dunque eccezionale,  è stato deciso nel 2015 per combattere il rischio di deflazione. Perché la Bce ha come mandato unico la stabilità dei prezzi.

La Federal Reserve, per capirsi, interviene con un mandato più ampio rispetto ad esempio a quello della Bce: stabilità dei prezzi e occupazione. Prima del crack Lehman la Federal Reserve aveva un bilanco con 900 miliardi di dolalri di asset, ha iniziato il 2018 con 4.300 miliardi e  secondo la stragrande maggioranza degli esperti difficilmente scenderà sotto i 2000 miliardi e non tornerà mai a 900. L’onda lunga del quantitative easing Usa resterà, dunque.

La Bce ha invece un mandato concentrato sulla stabilità dei prezzi cioè portare l’inflazione su livelli vicini ma poco sotto il 2%; l’istituto con sede a Francoforte ha adottato il suo Qe per combattere la deflazione seguita alla crisi post-Lehman. La Bce interviene acquistando bond sul mercato secondario – non compra i titoli di stato in asta perché questo sarebbe contro il suo statuto che le vieta di finanziare direttamente gli stati in asta, cioè – scambiando i titoli di Stato circolanti con liquidità.

Il QE della Bce viene effettuato prevalentemente con gli acquisti sul mercato dalle banche centrali nazionali, Banca d’Italia o la Bundesbank, che effettuano le operazioni. L’effetto è noto: con un attore di tale importanza sul mercato, tutti gli operatori seguono la scia dei suoi acquisti e di conseguenza i prezzi sono saliti e i rendimenti scesi, fino a restare in territorio negativo in buona parte e per molto. Il che ha aiutato l’Italia a far calare il servizio del debito, ossia quanto si paga ogni anno di spesa di interessi su BTP e altro: ai tempi del governo Berlusconi (2011) i quasi 90 miliardi di euro pagari rischiavano di diventare 100 o 130 nel giro di poco. Il Qe successivamente ha fatto risparmiare al nostro Tesoro molti miliardi l’anno.

In questo modo la Bce si indebita? No, aumenta la liquidità nel sistema e diventa creditrice – tramite le banche centrali nazionali – degli emittenti dei titoli che compra, ossia gli Stati Europei. Come detto il mandato della Bce è strettamente legato ai temi di politica monetaria e non ha ispirazioni dalla politica economica o fiscale, che spettano agli Stati dell’Unione. La rigorosità del mandato della Bce in tema di politica economica è legato anche alla sua indipendenza che, com’è noto, è un valore estremamente sentito dalla comunità finanziaria europea. La Bce deve far quello e solo quello, dice il suo mandato, senza invasioni di campo possibili e nel rispetto dei mandati degli altri attori. Una riforma delle prerogative della Bce appare estremamente difficile e improbabile.

Al di là delle differenze di mandato, il caso della Bank of Japan è stato studiato negli Usa e in Europa come il benchmark da non seguire: più aumentava il debito pubblico e più rimaneva nelle tasche dei giapponesi in un sistema chiuso e asfittico, senza produrre una crescita economica. Negli ultimi vent’anni raramente il Pil nipponico ha dato segni di forza – se non in presenza di un ciclo globale positivo (nel 2004 +2,9%) – e ha accusato come e forse più degli altri il ciclo negativo (-5,2% nel 2009).

Davanti alle difficoltà di modificare un quadro normativo internazionale per venire incontro alle esigenze di alcune ricette che propongono la nazionalizzazione del debito, non sarebbe più saggio destinare prioritariamente le risorse economiche ricavate dai cicli positivi dell’economia per ridurre il debito, pagare meno interessi sul debito e ricavare risorse importanti per investimenti pubblici e il Welfare? Lo si doveva fare negli anni passati, quando il Pil era tornato positivo. Ma le esigenze di caccia al consenso politico – la scelta di destinare circa 11 miliardi l’anno ai famosi 80 euro invece che a ridurre il cuneo fiscale – hanno remato contro. Un errore che sarebbe sbagliato ripetere ancora. Anche perché lo scenario sta peggiorando vistosamente: le guerre commerciali danneggeranno di molto una economia di trasformazione e di esportazione come quella italiana. Basterà lo stallone italico a proteggerci.