L’educazione finanziaria serve? E a chi?

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A cosa serve l’educazione finanziaria? A volte porsi lucidamente le domande di base aiuta a focalizzare meglio la reale portata di un processo come l’avvio di un piano di “financial literacy” anche in Italia. E non solo per dare una risposta a chi — e non sono né pochi né avventurieri: da Duflo a Saez, da Benartzi a Cole — i quali nutrono dei dubbi sull’efficacia dell’educazione finanziaria. E non per caso: come si spiega la crisi subprime se si considera che in Inghilterra dal secondo dopoguerra una percentuale superiore al 90% di studenti delle superiori ha seguito corsi di alfabetizzazione finanziaria? E come si giustifica il fatto che negli Usa più di un terzo delle spese sul credito è imputabile a un mark-up eccessivo da parte degli intermediari, che potevano essere evitati. Sempre i risparmiatori statunitensi paghino ogni anno ben 100 miliardi di dollari in commissioni e altre spese, che investitori finanziariamente meglio educati si farebbero scontare. E da noi? Vedremo se davvero la Mifid2 obbligherà il settore finanziario e assicurativo a prediligere clienti “educati” con cui relazionarsi, piuttosto che “maleducati” da spennare più facilmente. Perchè è alla prova dei fatti che si verificano le migliori intenzioni.
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Quel che è certo è che gli interventi nelle scuole non bastano: l’abilità in materia è il frutto di un percorso che non può restare a lungo teorico e per questo le occasioni di conoscenza devono essere su misura. Agli adulti che educazione finanziaria si fa? Quando e come spingerli a lavorare sulla propria? Se ne occuperà di rispondere il Comitato che si occuperà di redigere la strategia nazionale per l’educazione finanziaria. Ma c’è un altro elemento che dovrebbe incoraggiare anche i policy maker a spingere con ancora maggiore decisione una più diffusa financial literacy: a un recente convegno l’ex Ministro Elsa Fornero ha anticipato gli esiti di uno studio del Collegio Carlo Alberto, secondo il quale a più elevato livello di educazione finanziaria corrisponde maggiori capacità dei cittadini di comprendere i contenuti di una politica economica redistributiva e di esprimere consenso sull’operato dell’esecutivo che l’ha disegnata. Il che allinea (auspicabilmente) l’interesse della politica a quello dei cittadini.